È bastato poco, anzi, pochissimo: quattro tiri nello specchio della porta, per essere precisi.
Quattro tiri in porta che si sono trasformati in tre gol e hanno sancito la nostra eliminazione dalla FA Cup, per mano del Manchester United di Ole Gunnar Sméagol.
Di certo non è stata una prestazione memorabile, tuttavia le solite sceneggiate post-sconfitta e lo stracciarsi le vesti di alcuni dei profili social piú influenti mi hanno lasciato perplesso: abbiamo dominato in termini di possesso palla e di occasioni create, anche se non tutte così nitide, e per larghi tratti della partita siamo apparsi in pieno controllo di un avversario, il Manchester United, venuto all’Emirates Stadium con la ferma intenzione di chiudersi in difesa e colpire in contropiede.
A quanto pare non erano le tattiche di Mourinho il vero problema ma piuttosto il carattere del portoghese, perché il modo di giocare dei Red Devils non è cambiato di una virgola, nonostante il cambio al timone.
Merito a Pogba e compagni per aver eseguito il copione alla lettera e aver colpito con le sole occasioni create, però la vittoria nasce più da demeriti nostri che per meriti loro.
Immaginate questa cosa: vi svegliate nel posto più remoto al mondo, dove non esiste una connessione ad internet e nemmeno radio o televisione; un foglio sul tavolo vi racconta che l’Arsenal ha perso in casa contro il Manchester United a causa di una formazione sbilanciata, che si è fatta infinocchiare in contropiede nonostante un dominio tanto evidente quanto sterile.
Girando il foglio trovate una semplice domanda, alla quale dovete rispondere: chi è l’allenatore dell’Arsenal? Ammettetelo, rispondereste immediatamente Arsène Wenger.
La cosa più sorprendente dell’eliminazione subita venerdì sera è proprio questa, ovvero il fatto che sembrava di vedere in campo l’Arsenal di Arsène Wenger; sembrava di rivivere l’Arsenal – Monaco del 2015 o una delle altre mille partite finite inevitabilmente male per noi; il pragmatico Unai Emery, cui è stato affidato il compito di raccogliere l’eredità dell’alsaziano e restituire dignità alla nostra fase difensiva, finisce col riproporci la stessa minestra.
Non è una bocciatura definitiva, anzi non è proprio una bocciatura tout court, ma dopo le cinque pappine prese ad Anfield e il modo in cui è arrivata la sconfitta casalinga contro il Manchester United, le somiglianze tra il nuovo e il vecchio Arsenal cominciano ad essere troppe; la magnifica vittoria ottenuta contro il Chelsea sembrava aver rimesso la stagione su un binario buono, così come l’atteggiamento tattico e la l’approccio mentale dimostrati dalla squadra fino agli ultimi venti minuti della partita di venerdì sera.
Poi, il buio.
Con Sokratis infortunato e sostituito da Shkodran Mustafi, Unai Emery si appresta a mettere in campo Mesut Özil per tentare di trovare il gol del pareggio, però in quel preciso momento s’infortuna anche Laurent Koscielny; l’ennesima botta di sfiga, alla quale il tecnico spagnolo aggiunge confusione tattica operando una sostituzione che ancora non capisco, mentre scrivo questo pezzo a quarantotto ore dalla partita: fuori il difensore francese, dentro Mattéo Guendouzi e allo stesso tempo dentro Mesut Özil al posto di Alex Iwobi.
Pur lasciando la squadra schierata con il 4-2-3-1 iniziale, il basco mette Mesut Özil largo a destra dove non sa incidere, sposta Granit Xhaka al centro della difesa dove deve vedersela con la velocità di Rashford e completa l’opera lasciando a Mattéo Guendouzi, un metro e ottanta per sessantotto chili, il compito di controllare Pogba, un metro e novantuno per ottantaquattro chili.
Così ci ritroviamo con Mesut Özil e Aaron Ramsey che si pestano i piedi sulla trequarti, Pierre-Emerick Aubameyang che arriva ad intasare ancora di più una corsia di sinistra già più affollata di un supermercato alla vigilia di Natale, i due terzini abbandonati al proprio destino e nessuno che abbia la voglia o abbia ancora le gambe per ripiegare, quando inevitabilmente perdiamo il pallone.
Fino a quel momento, tuttavia, la squadra era in partita.
Fino a quando Unai Emery è rimasto fedele alla sue idee, la partita sembrava recuperabile; fino a quando il tecnico basco ha dato la sua impronta alla squadra, l’ultima parola non era stata ancora detta.
Perché cambiare, Unai?
Quando mancano venti minuti alla fine e la pressione sale, la tentazione di gettare nella mischia giocatori offensivi sperando in un colpo di fortuna è forte ma fa troppo vecchia scuola, vecchio Arsenal.
Un allenatore di spessore resta fedele alle proprie idee e spende il suo ultimo cambio mettendo un difensore (Nacho Monreal), se la situazione lo richiede.
Anche quando mancano venti minuti alla fine e stai perdendo in casa contro il Manchester United.
Puoi fare di meglio, Unai, e lo hai già dimostrato.