La matematica non è mai stata il mio punto forte, anzi.

Tuttavia, anche per uno come me è impossibile non capire in un secondo l’enorme differenza tra l’Arsenal di Unai Emery e quello di Mikel Arteta.

Le cifre sono implacabili e depongono interamente a favore dell’ex capitano, la cui rivoluzione silenziosa sembra aver davvero preso il via: da quando si è ufficialmente seduto sulla nostra panchina, ovvero dalla trasferta a casa del Bournemouth, Mikel Arteta ha diretto la squadra in 15 partite, raccogliendo 7 vittorie (46%), 5 pareggi e 3 sconfitte; 25 gol fatti (1.66) e 11 subiti (0.73).

Nelle 13 partite da allenatore dell’Arsenal quest’anno, Unai Emery aveva invece raccolto 4 vittorie (31%), 6 pareggi e 3 sconfitte; 18 i gol fatti (1,38) e altrettanti quelli subiti (1,38)

Una differenza abissale e un po’ impietosa nel confronti dell’ex allenatore di Valencia e PSG, che ne esce molto male; anche comparando i risultati di Mikel Arteta con quelli della prima stagione di Unai Emery, infatti, la differenza resta marcata: se la percentuale di vittorie è più alta (55%) e la media gol marginalmente più elevata (1,92), il dato difensivo è quasi due volte peggiore rispetto a quello attuale (1,34 gol subiti a partita contro 0,73), a conferma di un problema strutturale e organizzativo, più che di giocatori.

Se Mikel Arteta sta riuscendo a mantenere numeri difensivi così incoraggianti non è in conseguenza ad un massiccio intervento sul mercato ma solo ed esclusivamente grazie ad una migliore fase difensiva e più chiarezza nei ruoli: se Shkodran Mustafi è passato da zimbello dell’intera Premier League a uno dei difensori più affidabili del campionato non è per un’improvvisa illuminazione quanto il risultato di un lavoro tecnico, tattico e psicologico da parte di Mikel Arteta e del suo staff.

Stiamo vivendo un momento di grande positività, durante il quale tutto sembra riuscire perfettamente alla squadra: Emiliano Martínez è un sostituito più che egregio di Bernd Leno, il cui infortunio sembrava un problema insormontabile per la squadra; Granit Xhaka ha ritrovato smalto e determinazione, tornando ad essere un pilastro dentro e fuori dal campo; Alexandre Lacazette è tornato al gol in trasferta, nel momento più importante; Bukayo Saka, fresco di rinnovo, ha firmato il suo primo gol in Premier League, sbloccando la partita da ultima spiaggia per l’Europa.

In questo momento, a Mikel Arteta e ai giocatori sembra riuscire proprio tutto.

Non durerà, probabilmente, e già domani verremo messi a dura prova dal Leicester di Rodgers e Vardy, uno che metterà a dura prova la nostra difesa, ma anche nel caso in cui il finale di stagione non dovesse mantenere le promesse che ci ha sussurrato all’orecchio nelle ultime due settimane, ricordiamoci da dove veniamo e che razza di percorso ha effettuato l’Arsenal fino a qui.

Ricordiamoci dei pareggi contro il Crystal Palace e il Southampton in casa, ad esempio; ricordiamoci del triste spettacolo offerto a Vicarage Road, quando abbiamo concesso il pareggio al Watford nonostante i due gol di vantaggio e soprattutto abbiamo subito 31 tiri in porta, un record negativo.

L’Arsenal di oggi è compatto, determinato e pronto a soffrire, quando necessario, senza apparire in preda al panico e slegato tra i reparti; non è tutto rose e fiori, ovviamente, perché la fase offensiva potrebbe essere più ariosa ed scintillante, ma oggi possiamo dire di essere una squadra – nel bene e nel male.

Questo Arsenal non è più quell’Arsenal e, con ogni probabilità, non lo sarà mai più.

@ClockEndItalia

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