Le nostre ambizioni europee si sono esaurite a Villa Park, contro la terz’ultima in classifica.
La si può guardare come si vuole ma resta una sconfitta contro la terz’ultima in classifica e la condanna a finire il campionato al decimo posto.
Per quanto grande fosse la differenza di motivazione tra le due squadre, fatico a trovare una giustificazione per la prestazione scialba di tutti e quindici gli uomini mandati in campo da Mikel Arteta.
A casa della squadra che concede più tiri agli avversari, addirittura più del Norwich già retrocesso, siamo riusciti nell’impresa di non impensierire mai Pepe Reina, se non sugli sviluppi di un calcio d’angolo.
Contro un Aston Villa che in media concede oltre 16 tiri alla squadra avversaria, noi ne abbiamo mandati a referto la metà, di cui ZERO nello specchio della porta.
Non credo che bastino la fatica delle ultime due prestazioni e la differenza di motivazioni per spiegare l’apatia vista ieri sera, c’è molto di più: c’è una rosa senza qualità, i cui due centrocampisti statisticamente più propensi a far avanzare il pallone sono fuori squadra e i cui attaccanti non sembrano avere le idee o le capacità per creare occasioni da gol contro la difesa schierata; c’è una mentalità ancora troppo accondiscendente, che spinge i giocatori a togliere il piede dall’acceleratore in maniera inopportuna e – spero – inconsapevole; c’è una terribile mancanza di coraggio nel provare il dribbling o la giocata più difficile, quando necessario, preferendo la soluzione più comoda.
Mikel Arteta ha avuto il grosso merito di rendere di nuovo presentabile una difesa composta da Shkodran Mustafi, David Luiz, Rob Holding e Sead Kolašinac, dimostrando di fatto che la preparazione tattica, la concentrazione e l’organizzazione sono molto più importanti delle qualità individuali, tuttavia dal centrocampo in su la squadra ha bisogno di una scintilla, di un gesto istintivo, di un giocatore che voglia puntare l’avversario e metterlo in difficoltà.
Un tempo quel giocatore era Mesut Özil, quando ancora aveva voglia di trovare il passaggio che nessuno sapeva anticipare o il movimento senza palla che spostava tutto il centrocampo avversario; quel Mesut Özil l’abbiamo perso un anno e mezzo fa, è ricomparso di tanto in tanto ma sostanzialmente non è più a disposizione di Mikel Arteta e dell’Arsenal.
Così, mentre tutta l’attenzione si è concentrata sul nostro reparto difensivo, il nostro problema più grande è ancora un attacco sterile e prevedibile, penalizzato da un centrocampo costituito da elementi troppo conservatori nel loro approccio.
Ciò nonostante, tutte le voci di mercato che circolano riguardano centrocampisti difensivi e difensori centrali, anziché centrocampisti offensivi e attaccanti esterni di qualità: perché?
Perché corriamo dietro a Thomas Partey e Dayot Upamecano, quando dovremmo cercare sul mercato un centrocampista capace di legare la mediana e l’attacco? Perché non entriamo mai nelle conversazioni che riguardano gli esterni d’attacco capaci di saltare l’uomo e creare superiorità? Ieri sera Jack Grealish ha dimostrato quanto sia importante avere un elemento in grado di portare avanti il pallone, che sia con il dribbling o con passaggi in verticale, e in passato altri giocatori come James Maddison ci hanno fatto soffrire – senza nominare Kevin de Bruyne, ovviamente.
Anche al netto di tutte queste considerazioni, comunque, avremmo dovuto fare molto meglio ieri a Villa Park, perché perdendo in maniera così passiva abbiamo salutato definitivamente il treno per l’Europa League e fatto svanire quell’aura di positività e consapevolezza costruita grazie alle due vittorie contro Liverpool e Manchester City.
Il processo di crescita è ancora molto lungo.