Domani pomeriggio, a Wembley, giocheremo la ventunesima finale di FA Cup e proveremo a portare a casa la quattordicesima coppa, consolidando così il record che già ci appartiene.L’occasione è propizia per provare a decidere quale sia il ricordo più vivo nelle nostre memorie, così assieme a Massimiliano e l’altro Andrea abbiamo provato a sceglierne uno.
Qual è il vostro?
Grigliata, Gunners & Galline – di Andrea Maestri
17 Maggio 2014, Arsenal Hull City 3-2. Era un sabato.
I giorni precedenti alla partita non pensavo ad altro che alla finale contro l’Hull City e di come me la sarei gustata sul divano con birra, patatine e rutto libero.Per star tranquillo, in enoteca dove lavoro avevo comunicato che andavo al mare a trovare una vecchia zia che aveva bisogno di me, evitando così chiamate al lavoro dell’ultimo minuto.
Venerdì mattina, il fulmine a ciel sereno.
Mia moglie mi ricorda di prendere del vino per la grigliata del sabato a casa di amici.
– “QUESTO sabato?”, chiedo.
– “Si, QUESTO sabato, e finita la grigliata ci aspettano all’inaugurazione di una mostra d’arte”, mi risponde.
Nella mia testa si scatena un monsone di imprecazioni.
– “Perfetto!”, dico.
La speranza di vedere la partita non mi abbandona.
Sabato mattina carico PC, chiavetta internet e due bocce di sangiovese delle Marche nello zaino. Vaffanculo, alla grigliata mi guardo la partita.
Tra una costina e una fetta di salame vago, PC in mano, alla ricerca della connessione perfetta per poter vedere la partita in streaming; sarà stato il calore o forse il riflesso del sole ma trovo la connessione solo di fianco alla griglia Nimbus2000solemio modello 4k 2.0, griglia professionale dotata di 2 mq di superficie grigliabile.Temperatura nei dintorni: 88° centigradi. Per i ragazzi di Arsène, questo ed altro.
Birra in mano, sedia di plastica, PC sulle gambe: inizia il match.
Il calore della griglia è abbastanza fastidioso ma andrà sempre meglio, mi dico, ormai mancano solo i tomini e poi la spegniamo.Inizia la partita, il 97% degli amici mi prende per in giro perchè non si può guardare una partita di fianco alla Nimbus2000solemio modello 4k 2.0; non li sento neanche, sono in trance agonistica e mi godo appieno tutti e i tre minuti che ci separano dal primo gol della partita: James Chester (chi???) la mette dentro.
1 a 0 Hull. OK ragazzi, mancano 87 minuti, non c’è problema.
Minuto 8, Curtis Davies, neanche fosse il cobra Tovalieri, mette in rete una respinta di Fabianski.
2 a 0 Hull. 2 minuti e 15 secondi di apnea e silenzio, decido di spegnere il PC.
Qualche amico chiede perché scuoto la testa, rispondo che non c’è connessione e che preferisco stare in loro compagnia, che alla fine la partita la potrò vedere la sera.
Inizio a bere e se prima ero stato attento con birra e vino per godermi il match, ora sono un’idrovora che vuole solo dimenticare. Sangiovese e birra scivolano nella mia bocca con grande rapidità, qualcuno prepara qualche gin tonic, ne bevo 3. Ora che inizio ad avere la mente annebbiata, mi sento meglio. La partita sembra un lontano ricordo.
Qualcuno urla che siamo pronti per la tappa numero due: tutti all’inaugurazione della mostra di P54, Chomp, Canu e Kalinda. Minchia. Faccio fatica a stare in piedi. Arriviamo alla mostra, troppa gente, troppa arte, troppo tutto.
Incontro un vecchio amico:
– ”Ciao Andre, ma non guardi la partita? Sono ai supplementari”
– “Eeeeeeehhhh????? Come ai supplementari???”
Per mezzo secondo torno sobrio; mi guardo attorno alla ricerca di un televisore, lo trovo, fa parte di un’installazione, mostra il video in loop di un cavallo che fa su e giù con la testa. E’ un chiaro segnale. Allontanato dall’artista mi rifugio in un angolo di fianco ad una gallina di legno che mi sorride.
Accendo il PC; collego la chiavetta ad internet; apro Skygo; clicco su Arsenal-Hull City.
Il campo verde di Wembley, risultato 2 a 2, minuto 100: palla a Wilshere, tocco per Sanogo (veramente?) che incespica, si nasconde la palla, fa una giravolta e la fa un’altra volta; Giroud, che passava di lì, gli ruba palla e parte direzione bandierina (dove vai!); ah no, colpo di tacco per Ramsey, 3 a 2.
I momenti che seguono sono drammatici: salto dalla sedia dimenticandomi del PC sulle gambe, che vola a un metro d’altezza cadendo sulla gallina e distruggendola in mille pezzi. Rimarrà solo la testa sorridente che mi fissa, giurerei che mi strizza l’occhio.
Partita finita? E chi lo sa. Il proprietario della galleria mi espelle lanciandomi dietro il PC mezzo rotto, con la zampa di gallina conficcata nel porta CD.
Esco in strada zigzagando ma felice, l’alcol e l’Arsenal mi hanno regalato una gioia.
Apprendo solo il giorno dopo che avevamo vinto.
Molto più di una Semifinale – di Massimiliano Iollo
La FA Cup l’ho iniziata ad amare tardi.
Ogni anno, nella mia lista delle priorità, c’era il provare a lottare per il titolo, ben figurare in Champions ed infine ottenere la qualificazione alle coppe europee.Delle coppe nazionali, francamente, me n’è sempre importato poco. Non puoi amare una coppa che ti costringe a subire un fallimentare replay a Blackburn, una lezione severissima ad Old Trafford e le rimesse di Delap a Stoke-on-Trent.
Odiavo la FA Cup così come la League Cup. Poi però è arrivata una partita…
Arsenal v Wigan, semifinale di FA Cup nella primavera del 2014.
Fino all’80esimo sotto di 1-0 contro una squadra di scappati di casa arroccata in difesa con Carson in versione Spiderman. Poi però la pareggia Mertesacker di testa su un mezzo tiro-cross di Oxlade mandando il match all’extra-time. La traversa di Oxlade-Chamberlain è l’unico squillo di quei tesissimi tempi supplementari, prima dei calci di rigore.
I rigori, appunto.
Ricordo di aver visto i rigori con la sciarpa in testa a mò di suora e le mani giunte in segno di preghiera.
Tiran prima loro. Tira Caldwell, un difensore. Fabianski para, io tiro un pugno sulla scrivania.
Il primo per noi è capitan Arteta. Carson balla, io prego. Goal. Resto in silenzio.
Per loro si avvia al dischetto Collison. Fabianski saltella. Collison cambia lato rispetto a Caldwell, Lukasz pure: gliene para un altro. Secondo pugno.
Tocca a chi per l’Arsenal? Kim Kallstrom. Fino a quel punto della stagione aveva passato più tempo all’infermeria di Colney che in campo. Ho il terrore che spedisca il pallone fuori le mura di Wembley…e poi Carson non è un portiere da quattro soldi, anzi. Sorride lo svedese prima di tirare. Non incrocia, tira col mancino sulla sua sinistra. La palla entra. Siamo sopra di due.
Sincero? 2-0, mi sentivo già in finale.
Al diavolo il rigore di Beausejour, quello di Giroud, quello di McArthur. Io aspettavo solo il penalty finale di Cazorla: Santi ci va di giustezza, centrale, spiazzando il portiere del Wembley e stacca il pass per la finale.
Scoppiai in lacrime per la gioia. Avevamo le mani sulla coppa. Sarebbe bastato un minimo per tornare ad alzare al cielo un trofeo dopo tanti anni.
Cosa è successo poi tra noi e l’Hull è storia.
La Finale Giusta – di Andrea Rosati
13 FA Cup vinte sono tante, nessuno ne ha vinte altrettante.
Difficile quindi scegliere un momento preferito, anche perché ci sono le semifinali palpitanti, i turni intermedi in cui questo o quel ragazzino si è fatto un nome e le vittorie di prestigio, magari inattese.Ho pensato a lungo a quale sia stato il mio ricordo preferito legato alla FA Cup e alla fine ho scelto uno dei più recenti, a costo di risultare banale: la vittoria contro l’Hull City di Bruce.
A cavallo tra la prima e la seconda decade del XXI secolo, l’Arsenal è diventato suo malgrado la barzelletta d’Inghilterra, l’eterno sconfitto e il Club che, sul più bello, se dava la zappa sui piedi.
Quando il Wigan ha eliminato il Manchester City nei quarti di finale, la nostra strada sembrava spianata ma abbiamo comunque dovuto soffrire fino ai calci di rigore per avere la meglio sui Latics, in semifinale.I
n finale, ad attenderci, c’era l’Hull City di Steve Bruce, salvatosi di poco in Premier League e che avevamo sconfitto comodamente per 3-0 appena un mese prima.
L’occasione era irripetibile, insomma.
Irripetibile come la finale di Carling Cup contro il Birmingham del 2011 che sembrava dover essere il primo tassello di un potenziale quadruple, salvo dimostrarsi poi il primo naufragio di un’annata finita malissimo.
A Wembley, dopo dieci minuti, siamo già sotto di due gol e Kieran Gibbs ha appena salvato sulla linea il pallone del tre a zero. Avrei voluto spaccare tutto, spegnere la TV ma quando sei tifoso dell’Arsenal non puoi semplicemente girare le spalle e andartene, devi soffrire.
Sei condannato a soffrire. Sempre.
Sappiamo tutti com’è andata a finire, con Yaya Sanogo determinante nello spostare gli equilibri della partita, Aaron Ramsey che si erge ad eroe e un ultimo brivido freddo con lo scivolone di Per Mertesacker e l’uscita folle di Lukasz Fabianski. Soffrire sempre, fino all’ultimo secondo.
Quella FA Cup è speciale perché ha restituito un senso di giustizia nei confronti di Arsène Wenger, dei suoi ragazzi e di tutti noi tifosi, vittime per anni delle battutine sul numero di giorni dall’ultimo trofeo (3’283, se volete saperlo). Di quel giorno ricordo Lukas Podolski che innaffia un Arsène Wenger finalmente felice, davvero felice, e il bacio di quest’ultimo sulla fronte di Bacary Sagna, all’ultima apparizione con i nostri colori.
Senza dubbio la vittoria del 2005 ai rigori contro un Manchester United che ci aveva preso a pallonate per 120 minuti resta quella che mi ha fatto godere di più, tuttavia questa resta la più emozionante. Per ora…
Tre racconti, accomunati dal fatto di riguardare la stessa edizione di FA Cup, ma diversi tra loro; tre racconti di ottimismo, discesa agli inferi e redenzione finale, com’è destino che sia quando ci si ammala di Arsenal Football Club.
L’amore per questi colori ci costa carissimo ma è talmente viscerale da passare oltre il dolore, a volte anche fisico, causatoci regolarmente dai nostri beniamini. Poco importa quanto male ci ha fatto l’ultima sconfitta, saremo presenti al prossimo appuntamento, puntuali e pronti a prenderci un’altra sberla – se proprio inevitabile.
A volte mi chiedo come sia essere tifosi del Real Madrid, della Juventus, del Paris Saint-Germain o della Juventus e vivere con la certezza che ogni annata terminerà con una festa, in un modo o nell’altro.
Mi chiedo se riescano a gustarsi davvero il successo, non avendolo sudato e sofferto come noi; se una vittoria abbia lo stesso sapore quando è quasi matematica.
Mi piace pensare, a torto o a ragione, che non lo sia e che solo le nostre vittorie siano speciali.