Il Bayern Monaco è campione d’Europa per la sesta volta, il PSG invece dovrà riprovarci l’anno prossimo.

Guardando la partita ieri sera ho provato tanta invidia e un pizzico di nostalgia, immagino di non essere l’unico ad essermi sentito così.

Invidia per l’occasione, innanzitutto, ma anche per il modo in cui le due squadre hanno offerto uno spettacolo emozionante ed interessante – a riprova che le partite possono essere bellissime a prescindere dai gol segnati.

Invidia per la qualità di tanti giocatori in campo, a partire a Thiago Alcántara passando per Alphonso Davies, David Alaba, Joshua Kimmich, Robert Lewandowski, Marquinhos, Thiago Silva o Presnel Kimpembe.

Invidia per la maturità tecnica, tattica e fisica di due squadre costruite in maniera diversa ma che possiedono entrambe un’identità ben precisa, una fisionomia ben riconoscibile.

Anche noi eravamo tutto questo, non troppo tempo fa, eppure sembrano passati secoli da quando eravamo regolarmente nell’élite europea, giocando un calcio ben preciso e portando avanti idee storicamente radicate nel Club. Abbiamo sfiorato il sogno nel 2006, giocato un paio di semifinali e altrettanti quarti di finale, senza mai riuscire ad alzare la coppa dalle grandi orecchie; ad un certo punto sembrava solo una questione di tempo più che di probabilità, poi tutte le nostre certezze sono state spazzate via.

Ho nostalgia di quell’Arsenal da Champions League, anche quando le eliminazioni più brucianti mi toglievano il sonno, perché comunque il nome Arsenal era associato a dei concetti ben precisi e ad un’idea di gioco legata con un doppio filo al palleggio, alla fantasia e all’attacco – con ulcere e attacchi di cuore annessi.

Ho nostalgia dell’Arsenal tecnicamente così superiore all’avversario da risultare ingiocabile, per lo meno tra le mura amiche.

Ho nostalgia delle serate europee di quelle che contano davvero, con la musichetta della Champions League che accompagna le squadre in campo.

Come e quando riusciremo a tornare tra le migliori squadre d’Europa? Il compito, per Mikel Arteta e per il Club, è difficile.

La rosa, ad oggi, è male assortita sia in termini di ruoli che di fascia d’età: il centrocampo è scarno sia numericamente che qualitativamente, mentre la difesa è sovraffollata ma pecca anch’essa di qualità individuale.

L’attacco, troppo dipendente dai gol di Pierre-Emerick Aubameyang, manca di struttura e coesione, mentre in porta ci ritroviamo con due elementi di eguale qualità e anno di nascita.

Secondo l’analisi del patron di StatsBomb, l’azienda-faro per quanto riguarda la statistica applicata al calcio, un Club che abbia voglia di aprire un ciclo vincente dovrebbe puntare su giocatori che tra i 24 e i 27 anni d’età – una fascia che all’Arsenal è quasi completamente assente.

In rosa oggi abbiamo giovanissimi come Bukayo Saka, William Saliba, Gabriel Martinelli, Emile Smith-Rowe e Reiss Nelson, giocatori emergenti come Kieran Tierney, Joe Willock, Eddie Nketiah e Mattéo Guendouzi e ben 14 giocatori dai 27 anni in su – tra cui i veterani David Luiz, Willian, Mesut Özil e Sokratis.Nel mezzo, poco o nulla – almeno qualitativamente parlando: dell’età “giusta”, infatti, abbiamo giocatori che sono già ai margini del progetto come Matt Macey, Calum Chambers, Rob Holding e Lucas Torreira, tutti o quasi destinati a lasciare il Club o comunque lontani dall’esserne dei pilastri.

A salvarsi ci sono solamente Héctor Bellerín e Nicolas Pépé (Pablo Marí non è ancora giudicabile), troppo poco per poter sperare in un cambiamento radicale dei risultati della squadra.

La mano di Mikel Arteta ha sicuramente impresso al Club e alla squadra una nuova traiettoria, molto più incoraggiante, ma per rendere l’Arsenal di nuovo competitivo serviranno ulteriori sforzi da chi lo aiuta e asseconda – Edu in primis. L’imminente arrivo di Gabriel Maghalães, difensore centrale del Lille di appena 22 anni, è un altro mattone per la casa che verrà ma non per le fondamenta attuali, sempre traballanti.

La famosa spina dorsale che costituisce la base per i successi di qualsiasi Club è ancora troppo morbida o del tutto incompleta, all’Arsenal: se tra i pali sia Bernd Leno che Emiliano Martínez hanno le qualità e l’età giuste per essere una delle colonne portanti della squadra, gli altri reparti non possono considerarsi altrettanto fortunati.

La mia sensazione è che ci vorrà tanta fortuna per acciuffare la qualificazione alla Champions League già alla fine della stagione che sta per iniziare, perché per farlo sarà indispensabile che alcuni dei giocatori più giovani – Gabriel Martinelli, Bukayo Saka, William Saliba – superino le aspettative in termini di continuità di rendimento e che i più esperti migliorino sensibilmente a livello individuale e collettivo.

Per quanto visto negli ultimi due anni, gli unici due giocatori indiscutibilmente da Champions League di cui disponiamo sono Bernd Leno e Pierre-Emerick Aubameyang, troppo poco per lasciarsi andare a qualsiasi fantasia europea. 

Se Mikel Arteta saprà infondere convinzione e sicurezza ai giocatori prossimi all’ingresso nell’età più importante, la stagione 2021/22 potrebbe essere quella giusta per dimenticare almeno la nostalgia. 

Per passare da invidiosi a invidiati, invece, vedremo più avanti… 

@ClockEndItalia

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