
L\’uruguaiano, arrivato due estati fa dalla Sampdoria, è diventato l’emblema di quanto in fretta possano cambiare le cose per un calciatore e quanti danni possa fare un allenatore incapace di trasmettere le proprie idee in maniera chiara ed efficace.
Appena arrivato, Lucas Torreira ci ha subito conquistati con la sua determinazione, la sua capacità di sradicare palloni dai piedi di avversari molto più grossi di lui e il suo moto perpetuo; il gol contro il Tottenham, in quella che sarebbe dovuta essere la partita della consacrazione del nuovo corso firmato Unai Emery, è impresso indelebilmente nella storia recente dell’Arsenal e nessuno potrà mai levarglielo.
Ho amato Lucas Torreira, davvero.
Ero all’Emirates Stadium due anni fa, quando abbiamo sconfitto l’Everton per 2-0, e subito dopo il fischio finale sono andato a comprare la maglia con il suo nome e il numero 11, cosa che mi ero ripromesso di non fare un paio d’ore prima.
Nonostante qualche alto e basso, soprattutto nel finale della sua stagione d\’esordio, il suo rendimento è sempre stato buono, la sua intesa con Granit Xhaka impeccabile e l’impegno encomiabile.
Nel suo ruolo di riciclatore, Lucas Torreira ha sempre fatto un’ottima impressione: sempre bravo a recuperare palla davanti alla difesa, consegnarla al compagno di reparto e riprendere la posizione, l’uruguaiano pareva quindi destinato a diventare un pilastro della squadra – poi però è entrato in scena Unai Emery 2.0.
Nel tentativo di rendere più dinamica la fase offensiva, lo spagnolo ha spostato Lucas Torreira una ventina di metri più avanti, chiedendogli di attaccare l’avversario molto più vicino alla sua area di rigore e recuperare il pallone in zone pericolose. Un’idea niente male, sulla carta, la stessa che Sarri ha avuto con Kanté, con la differenza che Unai Emery non è riuscito a fare in modo che il resto della squadra seguisse il pressing del nostro Trottolino, che si ritrovava solo sulla trequarti, dove le sue migliori qualità diventavano difetti.
Prestazioni incolori, alle quali ha fatto seguito un inevitabile calo di fiducia, e poi l’avvento di Freddie Ljungberg prima e Mikel Arteta poi, a stravolgere l’assetto della squadra e le gerarchie dello spogliatoio.
Non doveva finire così, per Lucas Torreira: per profilo, mentalità e qualità avrebbe meritato di far parte di questo Arsenal almeno quanto Mohamed Elneny ma ha finito col pagare carissimo quei sei mesi buttati al vento, per colpa di Unai Emery.
Vorrei che questo fosse un arrivederci, Lucas, ma sappiamo entrambi che non lo sarà.