Resilienza

Non scomodiamo la psicologia, fermiamoci alla meccanica dei metalli e dei tessuti.

L’Arsenal ieri sera ha dimostrato la stessa resistenza a sollecitazioni dinamiche e la stessa capacità di tornare alla forma originale, dopo una deformazione.
Basta ad essere soddisfatti di quanto visto ieri a Ellan Road?

Si, per me si.

I problemi di questa squadra sono altri, non la prestazione di ieri sera: in dieci uomini, contro un avversario aggressivo e dinamico come il Leeds di Bielsa, avremmo potuto affondare come gruppo ed invece abbiamo stretto i denti insieme, cosa non affatto scontata.

Abbiamo rischiato di vincere pur meritando ampiamente di perdere, quindi non farei troppo lo schizzinoso per questo punto, sudato e sostanzialmente rubato: ci è voluto l’aiuto della fortuna per non incassare gol ma anche tanta disciplina, senza la quale la dea bendata non ci avrebbe premiati.

Giocatori come Bernd Leno, Héctor Bellerín, Rob Holding, Gabriel, Dani Ceballos, Kieran Tierney e Bukayo Saka hanno speso fino all’ultima energia residua per palliare alla leggerezza di Nicolas Pépé e evitare che la diga cedesse di schianto; non è stato un bello spettacolo, non sono certo qui a chiedere il bis ma sono sollevato nel vedere che, in campo, la squadra è capace di soffrire in maniera congiunta e tutti hanno – chi più chi meno – messo il proprio lavoro al servizio del collettivo.

Per assurdo, il 4-4-1 scelto da Mikel Arteta per ristrutturare la squadra dopo l’espulsione dell’ivoriano ha garantito una migliore uscita del pallone, sfociata in due occasioni clamorose per Pierre-Emerick Aubameyang e Bukayo Saka, che hanno rischiato di mandare agli archivi la rapina del secolo.

Apro una piccola parentesi sull’espulsione di Nicolas Pépé: a scanso di equivoci, il rosso era scontato ma ancora una volta il VAR ha premiato la palese esagerazione dell’offeso, in questo caso Alioski.

Il video ha tanti vantaggi ma non può restituire l’intensità di un contatto, così ogni carezza diventa uno schiaffo e appoggiare la propria fronte a quella di un avversario diventa una testata. Il giocatore del Leeds ha sfruttato al meglio la situazione e Nicolas Pépé è caduto nella trappola come un novellino, errore per il quale pagherà carissimo, ma ancora una volta il VAR dimostra tutta la propria inadeguatezza.
Basta guardare l’azione a velocità normale per rendersi conto che l’ivoriano, in tempi normali, si sarebbe preso un giallo – se non addirittura un semplice richiamo – anziché venire espulso ma l’ex attaccante del Lille conosce perfettamente il regolamento e il VAR, quindi il suo rosso se l’è meritato.
Parentesi chiusa, torniamo alle rapine calcistiche.

Per anni siamo stati quelli che le rapine le subivano, per ingenuità o sfortuna, e gli altri erano quelli bravi a chiudersi a riccio, soffrire, sudare e spesso colpire in maniera letale. Ci è mancato il gesto finale e un aiuto da parte del VAR, per portare a casa un risultato ingiustificabile, ma quel che importa è vedere quanto i giocatori, soprattutto i più giovani, abbiano saputo tenere la testa bassa e lavorare sodo per i compagni.

Questa volta abbiamo dimostrato di saper soffrire, una capacità che funge da cartina di tornasole per conoscere lo stato di salute di uno spogliatoio e la fiducia di questo nei confronti del proprio allenatore: se non credi fermamente in quello che stai facendo e che compagni e allenatore stanno producendo il tuo stesso identico sforzo, sarà impossibile dare davvero il 100% per la causa.

Lo ha fatto Dani Ceballos, un giocatore in prestito dal Real Madrid che in settimana è finito al centro di un retroscena poco edificante, e che negli ultimi tempi era spesso in panchina; lo ha fatto Gabriel, un nuovo arrivato che non ha legami evidenti né con il Club, né con l’allenatore; lo ha fatto e lo sta facendo da settimane Pierre-Emerick Aubameyang, un attaccante fenomenale al quale questa squadre offre palloni giocabili con il contagocce e al quale l’allenatore chiede sacrifici enormi.

Tutto ciò non accadrebbe se Mikel Arteta non avesse il rispetto dei propri giocatori.

Ripartiamo da qui, per mettere ordine in squadra.

Ci sono lacune tattiche enormi, alcune delle quali chiaramente riconducibili allo stesso Mikel Arteta, ma ci sono anche qualità mentali che per anni ci erano completamente sconosciute come, appunto, la solidarietà e la capacità di soffrire tutti assieme.

Non basta ancora per essere soddisfatti di questo Arsenal e non sono qui per convincere nessuno del contrario ma, ragionando a mente fredda, ci sono valori importanti che l’attuale allenatore ha saputo trasmettere ad un gruppo che sta attraversando il terzo periodo di transizione in tre anni.

Tra questi spicca la disciplina tattica di una squadra che avrebbe tutto per fallire nell’obiettivo: giocatori troppo giovani o troppo vecchi, reparti mal assortiti, qualche ego smisurato e un tecnico inesperto in panchina.

Mikel Arteta però ha inculcato qualcosa di molto importante, nella testa dei giocatori: l’importanza di essere squadra, nel bene e nel male.

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