Come facciamo a trasformare il dualismo tra Pierre-Emerick Aubameyang e Gabriel Martinelli da negativo a positivo?
Ieri, schierati contemporaneamente, i due non hanno funzionato: spesso impegnati a pestarsi i piedi nella stessa zolla di campo, intenti a dettare continuamente passaggi in profondità senza mai giocare spalle alla porta, i due attaccanti hanno finito con l’annullarsi a vicenda.
Eppure, per caratteristiche, Pierre-Emerick Aubameyang e il Gabriel Martinelli potrebbero cospirare perfettamente allo stesso fine: in comune hanno una velocità fuori dal normale e un occhio clinico per lo specchio della porta, tuttavia le similitudini finiscono lì.
Perché allora non riescono a valorizzare l’uno le caratteristiche dell’altro, quando sono in campo assieme? Questione di zolle, temo.
Ieri, ad inizio partita, i due hanno mandato segnali incoraggianti: si sono scambiati spesso la posizione, hanno provato a trascinare i difensori del Brighton fuori posizione ma, relativamente presto, hanno iniziato a giocare ognuno per sé e il blocco difensivo dei padroni di casa hanno avuto vita facile.
La missione, per Mikel Arteta, è fare in modo che i due interagiscano di più, si cerchino di più ma soprattutto si capiscano meglio: i tempi di gioco, per ora, non coincidono.
Per quanto uno sia un 19enne in forte ascesa e l’altro un 31enne che inevitabilmente inizia a percorrere il celebre viale del tramonto, la soluzione non può e non deve essere un dualismo negativo. È troppo presto per preparare la successione di Pierre-Emerick Aubameyang e non possiamo accontentarci di utilizzare Gabriel Martinelli come semplice asso nella manica.
Abbiamo bisogno dell’entusiasmo grezzo del brasiliano e della raffinata arte della finalizzazione del gabonese, nella stessa formazione, perché la classifica piange e la qualità non è mai troppa.