Dualismo

Dualismo s.m. “Presenza, in un’organizzazione o in una concezione, di due principî fondamentali cospiranti a un fine o contrastanti”
Per quanto lo si senta quasi esclusivamente nella sua accezione negativa, il dizionario prevede anche un dualismo positivo, cospirante a un fine secondo la Treccani.

Come facciamo a trasformare il dualismo tra Pierre-Emerick Aubameyang e Gabriel Martinelli da negativo a positivo?

Ieri, schierati contemporaneamente, i due non hanno funzionato: spesso impegnati a pestarsi i piedi nella stessa zolla di campo, intenti a dettare continuamente passaggi in profondità senza mai giocare spalle alla porta, i due attaccanti hanno finito con l’annullarsi a vicenda.

Eppure, per caratteristiche, Pierre-Emerick Aubameyang e il Gabriel Martinelli potrebbero cospirare perfettamente allo stesso fine: in comune hanno una velocità fuori dal normale e un occhio clinico per lo specchio della porta, tuttavia le similitudini finiscono lì.

Il brasiliano vuole sempre il pallone, mentre il gabonese, se potesse, lo toccherebbe solo per concludere a rete; il brasiliano ama provocare il proprio avversario diretto e giocarsi l’uno contro uno, il gabonese invece preferisce giocarsi la carta dell’invisibilità e sfuggire al controllo del proprio marcatore; il brasiliano adora aggredire in pressing, sfinire fisicamente il proprio dirimpettaio ed essere una spina nel fianco costante, mentre il gabonese è più sornione e si accontenta di dosare le sue accelerazioni letali, per essere sicuro di fare la differenza quando conta – forse anche perché più maturo del compagno di squadra.

Perché allora non riescono a valorizzare l’uno le caratteristiche dell’altro, quando sono in campo assieme? Questione di zolle, temo.

Quella corsia di sinistra è troppo cara, troppo familiare per entrambi, tanto da risultare impossibile da lasciare: il brasiliano è un centravanti che ancora non sa di esserlo, mentre il gabonese vorrebbe essere un centravanti ma ha preso casa su quella fascia e non sembra voler tornare indietro.

Ieri, ad inizio partita, i due hanno mandato segnali incoraggianti: si sono scambiati spesso la posizione, hanno provato a trascinare i difensori del Brighton fuori posizione ma, relativamente presto, hanno iniziato a giocare ognuno per sé e il blocco difensivo dei padroni di casa hanno avuto vita facile.

La missione, per Mikel Arteta, è fare in modo che i due interagiscano di più, si cerchino di più ma soprattutto si capiscano meglio: i tempi di gioco, per ora, non coincidono.

Per quanto uno sia un 19enne in forte ascesa e l’altro un 31enne che inevitabilmente inizia a percorrere il celebre viale del tramonto, la soluzione non può e non deve essere un dualismo negativo. È troppo presto per preparare la successione di Pierre-Emerick Aubameyang e non possiamo accontentarci di utilizzare Gabriel Martinelli come semplice asso nella manica.

Abbiamo bisogno dell’entusiasmo grezzo del brasiliano e della raffinata arte della finalizzazione del gabonese, nella stessa formazione, perché la classifica piange e la qualità non è mai troppa.

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