Un’analisi tanto succinta quanto completa, perché l’impressione che ho avuto durante la partita contro il Manchester City è che loro potessero farci gol a piacimento, senza che noi potessimo fare granché per arginarli.
Da parte nostra abbiamo avuto il merito di restare ordinati, di non lanciarci in avanti alla disperata ed esporci così al contropiede avversario, un segno di maturità da prendere in maniera positiva, ma non abbiamo mai dato davvero l’impressione di poter impensierire un avversario semplicemente più forte di noi. Molto più forte di noi.
Il Manchester City ha fatto quello che i migliori boxeurs al mondo hanno sempre fatto: tenere a distanza l’avversario, controllare l’andamento del combattimento senza sprecare troppe energie, accontentandosi di qualche colpo ben indirizzato se l’avversario prende fiducia.
Il divario attuale tra la nostra squadra ed una compagine in grado di lottare per i traguardi più importanti è quello visto ieri, all’Emirates Stadium; da una parte una squadra niente male, comunque ben organizzata ma povera di qualità e personalità, dall’altra una macchina perfetta, virtualmente inarrestabile come lo era il Liverpool fino a non troppo tempo fa (…e lo sarà di nuovo, tra non molto tempo).
La buona notizia è che ormai non sono tante le squadre in grado di mandarci a lezione come ha fatto il Manchester City: in Premier League finora c’è riuscito solo il Liverpool, mentre le altre concorrenti (Tottenham, Chelsea, Leicester, Manchester United…) sono sul nostro stesso livello e ci superano – se ci superano – grazie ad exploitindividuali più che ad una superiorità strutturale.
Per quanto dissestato, il nostro percorso dall’arrivo di Mikel Arteta in poi è stato un percorso di crescita, durante il quale lo staff tecnico ha lavorato alla costruzione di un’identità che oggi possiamo vedere tradotta in un modo di giocare abbastanza chiaro – a prescindere dall’avversario e dai giocatori mandati in campo.
Siamo ancora lo sparring partner di qualcuno ma il vento sta girando…