Lydia Williams – My Story

Un contropiede vincente come quello di Titi Henry al Santiago Bernabéu, una parata impossibile come quella di David Seaman contro lo Sheffield United, il tocco magico che ti libera dal marcatore e ti manda in gol che può riuscirti solo se ti chiami Dennis Bergkamp.
E poi ancora il golden gol di David Trézéguet ad Euro 2000, Carletto Mazzone e la sua corsa sotto la curva avversaria, gli occhi di Sheva prima del rigore decisivo nella notte di Manchester, gli anni d’oro del Divin Codino e il Fenomeno…

Il calcio è una fonte inesauribile di emozioni, aneddoti e protagonisti che anche a distanza di anni continuiamo a ricordare con gli occhi lucidi. Ma ci sono tante storie extra campo altrettanto belle che meritano di essere raccontate.

Una di queste è certamente quella del neo portiere biancorosso Lydia Williams.

Nella rubrica “In my own words” su Arsenal.com l’australiana ha regalato ai tifosi la sua storia straordinaria, non priva di difficoltà ma sempre all’insegna della gentilezza.

Un papà aborigeno ed una mamma americana, due culture che si incontrano grazie alla gentilezza Tutto ha inizio in una terra lontana, nei luoghi più remoti dell’Australia in cui si consuma il dramma della Stolen Generation* ossia quella generazione di bambini aborigeni o di sangue misto strappati dalle proprie famiglie per essere rieducati ed introdotti nella white society.

Il papà di Lydia è una delle tante vittime di questa Policy of Assimilation. Un’infanzia priva d’istruzione e la conseguente difficoltà nel trovare un lavoro hanno gettato l’uomo nel circolo vizioso dell’alcol ma proprio quando tutto sembrava perso, un missionario visitò la sua tribù e gli mostrò gentilezza nel senso più puro della parola: gli parlò ed ascoltò tutto quello che aveva da dire. Da quel momento la sua vita cambia, dopo aver frequentato il Bible College decide di diventare missionario e si avventura nell’Australia occidentale per dare aiuto a tutti coloro che si sentivano persi con la stessa gentilezza che anni prima aveva salvato lui.

Intanto dall’altra parte del mondo, più precisamente in Oklahoma, Stati Uniti, cresce la mamma di Lydia. Trasferitasi a New York inizia a lavorare come insegnante di scuola superiore e successivamente diventa assistente di un agente di cambio a Wall Street. Una carriera invidiabile che però non sembra soddisfarla. La possibilità di rivoluzionare completamente la sua vita arriva quando le fu proposto di dalla sua chiesa locale un viaggio missionario in Australia, con l’obiettivo di lavorare per le popolazioni indigene.

Ed è proprio nel deserto australiano che due vite diversissime si incontrano e decidono di unirsi per sempre. Una promessa sancita, volontariamente, sul luogo dove anni prima ci fu un massacro aborigeno perché, come dice il papà Lydia, ”Dove succede qualcosa di brutto, può venirne fuori qualcosa di bello”.

Qualcosa di bello accade veramente: arriva Lydia. Proprio come suo papà cresce nell’entroterra australiano e sperimenta sulla propria pelle l’infamia del razzismo. Ma per quanto i commenti sul colore della pelle o l’accento diverso possano far male non dimentica mai l’insegnamento più importante dei suoi genitori: essere gentile a prescindere dalla persona che si ha davanti.

“C’erano volte in cui camminavo per strada con mio padre e vedevamo qualcuno che era un alcolizzato sul ciglio della strada. Erano i giorni in cui mamma usciva per andare al lavoro e ci lasciava 20 dollari per cenare. Ma invece di procurarci qualcosa, mio ​​padre dava alla persona i nostri soldi per avere un hotel per la notte”

L’amore per lo sport ed il mito di Cathy Freeman
I trasferimenti a Sydney prima ed a Canberra poi non sono facili per Lydia che non vuole abbandonare le amicizie e la sua vita di campagna. Dopo sei mesi molto sofferti la mamma decide di aiutare la figlia spingendola a coltivare il proprio talento sportivo e a costruire nuove amicizie.

Tra le tante discipline, Lydia sceglie il calcio, un amore nato anni prima giocando a piedi nudi nel deserto del Gibson.
Si iscrive dunque alla squadra locale e pur di giocare nella Division One accetta il ruolo di portiere.

L’allenatore della squadra, anche lui aborigeno, è fondamentale per l’inserimento in squadra della ragazza che riesce ad abbattere tutte le barriere che si era creata ed inizia finalmente a divertirsi. Nel corso degli anni il divertimento si trasforma in passione che a sua volta diventa voglia di diventare un esempio:

“Ricordo di aver visto Cathy Freeman correre i 400 metri alle Olimpiadi di Sydney e di aver pensato che volevo rappresentare non solo l’Australia, ma la comunità indigena in qualche modo”

A soli 15 anni Lydia perde il padre e tutte le certezze faticosamente costruite tornano a vacillare. Decide di non parlarne con nessuno ma ancora una volta il calcio si rivela un’ancora di salvezza. Le soddisfazioni sul campo e la prima chiamata in Nazionale la spingono ad aprirsi e a trasformare il dolore nella motivazione per andare avanti.

“Non importa quanto ti senti spaventato, nervoso, ansioso o insicuro, se puoi mostrare quella vulnerabilità e parlare con qualcuno di cui ti fidi, si trasformerà in forza e qualcosa di molto più potente. Ecco perché è così importante essere gentili. Perché non hai idea di chi sarà il prossimo beneficiario della tua gentilezza”

Protagonista ai Mondiali di Francia nel 2019 con la maglia delle Matildas, estremo difensore dell’Arsenal di Joe Montemurro ed autrice di un libro per ispirare i bambini a sognare in grande, Lydia Williams rispecchia in tutto e per tutto quella gentilezza capace di dar nuova vita anche dove tutto sembra perduto.


*Per chi volesse approfondire l’argomento mi permetto di consigliare il film “Rabbit Proof Fence” (2002) diretto da Phillip Noyce ed ispirato dal libro di Doris Pilkington Garimara “Follow the Rabbit Proof Fence” (1996).

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