STOP! Razzismo e (Anti)Social Media

Negro. Scimmia. Mangiabanane. Torna al tuo Paese.
Basta digitare il nome di un qualsiasi giocatore nero dell’Arsenal, presente o passato, e aggiungere la parola racism e Google vi troverà almeno un articolo su offese razziste ricevute dal giocatore in questione.

Solo negli ultimi sei mesi è toccato a Eddie Nketiah, Willian, Nicolas Pépé, Pierre-Emerick Aubameyang e Ian Wright, tutti bersaglio di attenzioni indesiderate, spesso vomitate da personaggi che non trovano altro modo di sfogare le proprie frustrazioni.

Vorrei poter dire che si tratta di tanti bimbiminkia che, nell’oscurità delle loro camerette, tra una partita online e un giro su YouPorn, si sentono forti e importanti, però il razzismo online (e non) non ha età e non ha estrazione sociale. Il denominatore comune è lo scarso intelletto, purtroppo indipendente dall’anagrafe o dal livello di educazione.

Ovviamente ce n’è anche per il finocchio Héctor Bellerín e per lo zingaro Granit Xhaka, giusto per non fermarsi al colore della pelle e volare sempre più in alto.

Onestamente, non so come ne potremo uscire: proprio oggi l’Arsenal ha lanciato la campagna #StopOnlineAbuse, accompagnata da una serie di iniziative volte a fermare questa emorragia di odio sui social. Un’ottima iniziativa, che si aggiunge alle altre già in corso, come il ginocchio posato a terra prima dell’inizio delle partite, l’auto-sospensione dai social e altre ancora.

Funzionano? Non esattamente.

Capisco che non sia giusto non fare nulla e che ogni sforzo è necessario ma temo che qui si voli un po’ troppo alti rispetto al bersaglio.

Non dimentichiamo che parliamo di persone che trovano del tutto normale andare sul profilo social di un giocatore e mettere emoji di scimmie e banane, quindi che effetto potranno mai avere misure così poco tangibili?

Il vero bersaglio, per questo genere di campagne, dovrebbero essere Facebook, Twitter, Instagram, Snapchat e compagnia, i soli davvero capaci di far cambiare le cose – non quei poveretti che si sentono intoccabili dietro il loro pseudonimo. Se chiudi un profilo – temporaneamente o definitivamente – ne hanno uno nuovo in meno di un’ora e siamo esattamente da capo.

Minacce di azioni legali, denunce e multe non sono un deterrente abbastanza forte, come dimostrato dal caso di Ian Wright e Patrick O’Brien: il 18enne irlandese, che dopo aver perso una partita online di FIFA, usando come attaccante proprio Ian Wright, aveva completamente sbroccato e coperto d’insulti e minacce l’ex giocatore dell’Arsenal, ha evitato una condanna penale e se l’è cavata con la condizionale perché “è un ragazzo giovane, immaturo e ingenuo e si è espresso come tale” e “ha donato di sua volontà 500 euro all’INAR (Irish Network Against Racism)” e ha espresso “autentico rimorso” per quanto successo, secondo quanto riportato dal giudice nella sentenza. Ovviamente, “è un bravo ragazzo”, per citare la difesa, a coronare il tutto.

Questo elemento ha perso una partita online a FIFA 20 contro un amico, è andato sulla pagina Instagram di Ian Wright, ha scritto VENTI (!) messaggi privati con insulti razzisti e minacce di morte ma è un bravo ragazzo. Figuriamoci cosa avrebbe fatto se fosse stato un delinquente.

Purtroppo non esiste programma di educazione che possa colmare lacune di questa portata, devi andare a colpire alla radice e impedire a questi individui di fare male ad altre persone. Qualche tempo fa certi esemplari erano confinati, oltre che nelle loro teste, anche in luoghi fisici ben definiti, all’interno dei quali venivano derisi e limitati, oggi invece non hanno più un recinto – fisico e morale –  capace di contenere l’onda d’urto della loro idiozia.


I social network sono un fenomeno positivo ma danno diritto di parola anche a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Ora questi imbecilli hanno lo stesso diritto di parola dei Premi Nobel.

Queste parole di Umberto Eco non hanno mancato di far discutere chi ci ha letto una voglia di controllo e di elitarismo ma, per quanto mi riguarda, centrano perfettamente il punto: almeno in Italia, sono più di vent’anni che i media tradizionali e di ultima generazione promuovono volgarità, idiozia e decadenza, quindi non dobbiamo stupirci se siamo a due generazioni di persone incapaci di darsi un contegno fisico e intellettuale.

Sarebbe ora di chiedere il conto a chi alimenta tutto questo e ci guadagna, perché sono gli unici che hanno i mezzi tecnici per cambiare le cose.

Mark Zuckerberg si è trincerato dietro una vaga “libertà di espressione”, Jack Dorsey invece ha timidamente provato a combattere fake news e odio ma non in maniera troppo convincente.

Volete sapere quanto in fretta potrebbero risolvere il problema?
Pubblicate un video protetto da copyright e lo scoprirete.

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