Probabilmente la voce più inconfondibile del podcast di successo Arsenal Vision Podcast, Clive Palmer è tifoso dell’Arsenal da oltre cinquant’anni ed è uno dei profili da seguire assolutamente su Twitter: mai banale, mail sopra le righe, sempre spot on (come direbbero gli inglesi) con le sue analisi e impeccabile quando si tratta di analizzare la situazione nella sua globalità, anziché farsi trascinare dall’umore del momento.
Durante i giorni della campagna #StopOnlineAbuse, lanciata dall’Arsenal, e del black out auto-imposto da Club e giocatori, Clive ed io abbiamo parlato delle sue esperienze passate, della situazione attuale e di possibili ragioni di ottimismo, difficili da identificare nel clima attuale.
Clive, come sei diventato tifoso dell’Arsenal?
La prima partita che ricordo è la finale di FA Cup del 1971 contro il Liverpool (vinta ai supplementari grazie al gol di Charlie George). In quel momento ho scelto l’Arsenal, senza un motivo preciso, e da allora sono tifoso dei Gunners.
In seguito ho iniziato ad andare allo stadio e ricordo di aver pensato “questa è la mia casa”: all’epoca non c’era razzismo sugli spalti di Highbury, non ho mai avuto problemi, non c’erano cori razzisti e nulla di cui vergognarsi, in quanto ragazzo nero. Nonostante il calcio fosse già un affare da classe operaia bianca, mi sono sempre sentito integrato – cosa che purtroppo non accade più al giorno d’oggi
Cosa è cambiato, rispetto ad allora?
Negli ultimi anni la società si è rivelata per quel che è diventata, ovvero un’entità estremamente polarizzata: qualsiasi sia la natura del dibattito in corso, le fazioni in ballo restano accampate sulle proprie posizioni al di là dei contenuti del dibattito stesso.
Tante persone non fanno che interagire con persone che la pensano esattamente allo stesso modo, s’informano solo attraverso canali con i quali sono d’accordo e finiscono col pensare che il loro mondo sia giusto, e che tutti la pensino come loro.
Quasi nessuno è disposto ad ascoltare davvero o è disposto a cambiare idea, rimettersi in questione: l’unico modo per cambiare le cose e essere la miglior versione di sé stessi, non farsi trascinare in polemiche sterili ma dimostrare di essere buoni con sforzi quotidiani.
Giusto ma difficile da mettere in pratica. Quali altre misure si possono adottare?
Le persone non cambiano più idea e ciò rappresenta un pericolo. Una delle soluzioni potrebbe essere una riforma del sistema educativo, oggi non più d’attualità. Se insegniamo le cose in maniera equa ed equilibrata, nel loro insieme, i ragazzi avranno una maggiore consapevolezza e, una volta adulti, avranno una visione più globale del mondo.
Le giovani generazioni non si fanno incantare dai media tradizionali o dalla versione ufficiale, hanno voglia d’informarsi in maniera indipendente.
Veniamo ora ad uno dei temi scottanti, ovvero il gesto di posare il ginocchio a terra: è giusto continuare come fa la maggior parte dei giocatori o smettere, come ha deciso di fare Wilfried Zaha?
Non possiamo aspettarci che il calcio risolva i problemi del mondo. Il calcio però può mandare segnali forti e inginocchiarsi, in origine, voleva essere un segnale forte per il resto del mondo. Ora si rimette in dubbio il gesto in sé e si finisce quindi con lo spostare l’attenzione dalle ragioni dietro il gesto al gesto stesso, il che è un peccato.
All’interno della polemica tra chi continua ad inginocchiarsi e chi ha deciso che non ne vale più la pena, qualcuno ha scelto una strada diversa. Thierry Henry, infatti, ha deciso di chiudere tutti i profili social: scelta giusta o arrendevolezza?
A modo suo, Thierry Henry ha compiuto un gesto eclatante per mandare un messaggio e ciò potrebbe avere conseguenze serie. Se altri altleti di altissimo profilo seguoono l’esempio di Thierry Henry, cosa succederebbe? Cosa succederebbe se LeBron James chiudesse i suoi profili? Improvvisamente si creerebbe un buco da 80 milioni di followers e quindi un ammanco in termini di entrare, per i suoi sponsor e chiunque abbia una fonte di guadagno indiretta attraverso le interazioni social di LeBron James.
Le cose, in questo caso, potrebbero cambiare molto velocemente. Temo che sia sempre una questione di soldi.
In chiusura Clive ed io abbiamo parlato di nuovo di calcio giocato e nello specifico della sfida di Europa League contro lo Slavia Praga, Club storicamente invischiato in brutti episodi di razzismo.
Clive, cosa ti aspetti dall’Arsenal – in quanto Club – quando affronterà lo Slavia Praga, Club al centro dell’ennesimo episodio di razzismo?
Il Club farà sicuramente qualcosa, forse niente di eclatante ma magari i giocatori indosseranno una t-shirt speciale e sicuramente ci sarà qualcosa nel matchday programme. Al di là di questo episodio specifico, vorrei che il problema del razzismo fosse preso più seriamente fin dall’inizio, come mi è capitato di vedere durante una partita di una squadra di bambini (u10s).
Uno dei giocatori in campo ha usato un’offesa razzista verso un avversario ed è stato convocato nella sede del Club, assieme ai genitori, ed è stato duramente redarguito per quell’episodio.
È fondamentale non lasciar passare episodi del genere e dare l’esempio giusto fin da subito, usare l’episodio come momento di educazione in modo da crescere adulti più responsabili, che conoscano il limite tra cosa è accettabile e cosa non lo è
Quarantacinque minuti di chiacchierata che sono volati in un lampo, nonostante la grevità degli argomenti trattati. Il calcio non può salvare il mondo ma può certamente dare il buon esempio.