Partita fondamentale, titolo biblico.
All’Eden Aréna di Praga ci giochiamo quel che resta delle speranze di dare un senso alla stagione e poter ancora aspirare ad una qualificazione europea per il prossimo anno.
Il pareggio interno di giovedì scorso lascia poco spazio ai calcoli: dobbiamo vincere o almeno pareggiare segnando come minimo due gol.
Servirà l’impresa, insomma, perché altrimenti la nostra stagione sarà sostanzialmente finita.
Per quanto Mikel Arteta voglia convincersi che in Premier League “c’è ancora tanto da giocare”, la classifica ci vede fermi al nono posto, a nove punti di distanza dal quinto posto e dieci dal quarto, oggi occupati rispettivamente da Chelsea e West Ham.
Matematicamente ci sono ancora ventuno punti in ballo, tuttavia servirebbero un tracollo colossale delle cinque squadre che ci stanno davanti e una risalita verticale da parte nostra, due scenari difficilmente immaginabili dato il nostro andamento nelle ultime settimane (10P, 4V, 2N, 4S) e quello di West Ham (6 vittorie nelle ultime 10) e Chelsea (7 vittorie).
Ciò non vuol dire che dovremmo lasciar perdere la Premier League e schierare l’Academy ma di certo la nostra priorità dev’essere l’Europa League.
Nello sventurato ma plausibile scenario che ci vedesse eliminati domani sera, Mikel Arteta finirebbe inevitabilmente a processo per direttissima, a prescindere dalle colpe effettive e attenuanti eventuali. Alla sua prima stagione intera, pur con tutte le difficoltà create dalla pandemia, lo spagnolo ha alternato momenti eccezionali con autentiche traversate del deserto, la principale delle quali ci ha visti raccogliere una sola vittoria in dieci partite di Premier League e offrire il peggior calcio che io ricordi.
Ci siamo appesi all’Europa League quando le cose andavano male in campionato e torniamo ad aggrapparci alla sorella minore della Champions League per provare a rendere questa stagione meno frustrante di quanto sembri.
Se dovesse finire male, Mikel Arteta dovrà rispondere di molte scelte che si sono rivelate sbagliate come l’insistenza con Willian; la poca fiducia a Nicolas Pépé; il trattamento riservato a William Saliba, congelato ad inizio stagione e poi mandato in prestito; la gestione di Eddie Nketiah, trattenuto in gennaio e mai più utilizzato; lo sfoltimento tardivo e in perdita della rosa, attraverso le risoluzioni contrattuali con Mustafi, Sokratis e Özil o ancora il dilemma tattico permanente attorno a Pierre-Emerick Aubameyang, schierato spesso fuori ruolo e gravato di compiti non in linea con le sue caratteristiche.
Tanti quesiti che per ora restano al caldo in un taccuino, in attesa di sapere chi avrà avuto ragione.
Questa squadra può andare a vincere a Praga ma può benissimo sbagliare completamente la partita, come già successo troppe volte in passato.
Quello di domani è il giorno del giudizio anche per i giocatori, non solo per Mikel Arteta: i troppi errori individuali in difesa, i momenti di smarrimento, le occasioni da gol sprecate non dipendono dal manager ma da chi scende in campo e dovrebbe prendersi tutte le responsabilità del caso.
Da loro vorrei vedere uno scatto d’orgoglio, gli “occhi della tigre” di chi sa che il momento è topico e serve la grande prestazione, oppure il giorno del giudizio arriverà anche per i vari Pierre-Emerick Aubameyang, Alexandre Lacazette, Granit Xhaka, Héctor Bellerín, Rob Holding e Bernd Leno, solo per citare i giocatori con maggiore anzianità in squadra.
Il giorno del giudizio sta arrivando ma abbiamo un’ultima possibilità di rimandarlo, almeno per un po’.