Barriere

Era il 1° di agosto del 2019 quando Nicolas Pépé è sbarcato all’Arsenal.
Quasi tre anni dopo, l’ivoriano resta un oggetto semi-misterioso e una figura periferica in squadra.

In un’intervista rilasciata dopo la sconfitta della sua Costa d’Avorio contro la Francia, sfida durante la quale l’ex attaccante di Angers e Lille ha segnato un gran gol, il giocatore ha confermato di voler dare una mano fino alla fine per agguantare la Champions League prima di prendere una decisione, soffermandosi poi sulle ragioni dello scarso utilizzo da parte di Mikel Arteta:

“Non giocare è frustrante. A nessun giocatore piace rimanere fuori ma devo rispettare le scelte dell’allenatore. È difficile per il tecnico fare dei cambiamenti quando la squadra vince. Mikel [Arteta] me l’ha spiegato e io so che devo lavorare duro in allenamento se voglio giocare di più”

Fino a qui siamo alle solite banalità, poi però Nicolas Pépé ha detto qualcosa di più interessante:

“L’allenatore sa quel che penso e quanto lavoro duro. C’entra anche la comunicazione. A volte non è semplice comunicare a causa della barriera linguistica.

Insomma, dopo quasi tre anni Nicolas Pépé non riesce ancora a comunicare in maniera efficace con il proprio allenatore il quale, per inciso, parla fluentemente francese.

Forse non è portato per le lingue, forse non ci sta mettendo tutto l’impegno possibile o forse è molto più semplice trovare scuse per i propri fallimenti, non importa. Il mio non vuole essere un attacco verso l’ivoriano ma una riflessione un po’ più ampia, che coinvolge altri giocatori attualmente in rosa.

Non è passato tanto tempo infatti da quando Ben White, interrogato dalla stampa a proposito della sua grande intesa con Gabriel, aveva dichiarato:

Non parla molto inglese. Io non parlo portoghese. Non c’è molto che possiamo dirci però sappiamo quello che dobbiamo fare. C’è intesa”

Arrivato anch’egli dal Lille, il difensore brasiliano è alla sua seconda stagione con l’Arsenal eppure non riesce ancora a comunicare in maniera efficace sul campo o negli spogliatoi, sintomo forse di un problema strutturale in casa Arsenal.

In un mondo così ossessivamente attento anche al più piccolo e apparentemente insigificante dettaglio che possa influenzare le prestazioni dei calciatori, relegare in secondo piano la capacità dei compagni di squadra di comunicare efficacemente tra loro o con l’allenatore sembra una stonatura grossolana e un rischio inutile. Nell’intervista di qualche settimana fa, Arturo Lupoli ha raccontato come Arsène Wenger avesse imposto l’inglese come lingua ufficiale dello spogliatoio e di come lui, José Antonio Reyes, Cesc Fàbregas e Nicklas Bendtner avessero un’insegnante d’inglese a disposizione, capace d’insegnare i rudimenti della lingua applicata al rettangolo di gioco ma anche la cultura, i modi di dire e le peculiarità dell’inglese anglosassone.

Incompatibilità tattica. Inadeguatezza fisica. Limiti tecnici. Queste sono barriere alle quali posso credere ma non l’utilizzo della lingua inglese, non dopo due o tre anni a Londra.

Non voglio credere che uno meticoloso come Mikel Arteta voglia prendersi un rischio del genere.

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