Non doveva finire così. Non doveva finire punto e basta.
Non alla tua età, non per i motivi “al di fuori del mio controllo” che hai citato.
La prima volta che ti ho visto giocare è stato durante l’Emirates Cup del 2009, quando due prestazioni mostruose contro Glasgow Rangers e Atlético Madrid hanno rivelato a tutti il talento abbagliante di un diciassettenne con la faccia da furbetto e un fisico chiaramente non ancora del tutto sviluppato, eppure già imprendibile per avversari più brutti, più grossi e più cattivi.
Da quel momento in poi, tutto il mondo ti ha puntato gli occhi addosso e gli specialisti del settore hanno iniziato a fare a gara per appiccicarti addosso l’etichetta più pesante, come solo stampa e tifosi inglesi sanno fare attraverso l’ingordigia e l’arroganza di chi pensa di vedere un nuovo Messia in ogni giovane talento nazionale. A 17 anni, eri già stato designato come il futuro numero 10 e capitano dell’Arsenal, il punto di riferimento della Nazionale inglese che avrebbe vinto tutto nei dieci anni successivi e l’uomo immagine di tutto il movimento calcistico britannico – alla faccia della tua gioventù.
In un calcio che stava per incoronare definitivamente la generazione d’oro spagnola, guidata da Andrés Iniesta e David Silva, tu sembravi la perfetta risposta anglosassone e il giocatore in grado di spezzare i rigidi codici del calcio d’oltremanica e portarlo di peso nel futuro, dominato da funabmoli gracili il cui cervello e i cui piedi andavano troppo veloci per le maniere rudi di una Premier League incapace di evolvere profondamente.
Ancora non ho capito perché, tra essere Andrés Iniesta o essere Steven Gerrard, hai scelto quest’ultimo.
Ancora non ho capito perché, con le tue qualità tecniche incredibili, non hai lavorato per evitare certi contrasti e certi colpi ma, al contrario, ti sei sempre gettato nelle situazioni più rischiose, quasi a dover dimostrare di essere un duro da Premier League. L’aggressività e la grinta sono sempre stati tratti dominanti del tuo modo di giocare e in sé non sono un problema (anzi…) ma non saper valutare i rischi che si corrono può avere solo conseguenze nefaste.
Ancora non ho capito perché, con la tua visione di gioco e il tuo tocco di palla, non hai trovato il modo di far correre pallone e avversari, anziché perderti in corpo a corpo che, data la tua struttura, eri destinato a perdere.
Sono arrivato al punto di sperare che smettessi di lanciarti di quelle serpentine inarrestabili perché non ce la facevo più a vederti a terra dolorante, con la caviglia tra le mani, mentre i Paddy McNair di questo lurido mondo mettevano su quella faccia stupita del tipo “non l’ho neanche toccato!”. Anche a costo di limitare il tuo talento smisurato, ho sperato che prendessi meno rischi, tenessi meno il pallone e ti accontentassi di giocate più semplici e meno pericolose, perché non potevo più sopportare le settimane, i mesi di assenza forzata a casa di un contrasto di troppo.
Oggi hai annunciato di aver appeso definitivamente le scarpe al chiodo, a soli 30 anni, e non posso fare a meno di essere un po’ arrabbiato con te. Nonostante la prestazione clamorosa contro il Barcellona in Champions League, il gol da fanstascienza contro il Norwich, le partite da fenomeno vero contro Napoli, Marsiglia, Montpellier, Tottenham e tante altre, oggi non riesco a non pensare a quel che sarebbe dovuto essere – se avessi avuto un pò di fortuna in più e una sana dose di egoismo e spirito di conservazione.
Fortuna che ci rivedremo presto perché, ora che hai smesso i panni del calciatore, sei pronto a diventare l’allenatore della U18 dell’Arsenal e aiutare a plasmare la prossima generazione di Gunners.
A presto, Super Jack!