L’Arsenal è guarito definitivamente, ormai non c’è alcun dubbio in materia.
Se tre indizi fanno una prova, le tre vittorie in altrettante partite di Premier League sono una bella conferma.
Ancora una volta, non sono tanto i risultati a fare la differenza ma le prestazioni e le indicazioni che si possono trarre da ognuna delle ultime tre uscite di campionato: la liberazione psicologica a Villa Park, la ritrovata solidità a casa del Leicester ed infine, ciliegina sulla torta, la prestazione totale in casa contro l’Everton.
L’Arsenal è uscito dalla crisi con metodo e raziocinio, dapprima con un tanto sofferto quanto roboante quattro a due contro l’Aston Villa, in una partita che ha dimostrato quanto carattere abbia questa squadra, per poi ritrovare sé stesso attraverso una prestazione difensiva eccezionale al King Power Stadium, dove gli uomini di Mikel Arteta hanno limitato il Leicester ad una sola conclusione, peraltro fuori dallo specchio.
Ieri sera, all’Emirates Stadium, a scendere in campo è stato il “vecchio” Arsenal capace di triturare gli avversari e sfinirli a colpi di passaggi tra le linee, scambi di posizione tra gli interpreti in campo e con la serenità di chi sa di essere superiore al proprio dirimpettaio, senza tuttavia cadere nell’arroganza.
Non è stato semplice abbattere il muro eretto dall’Everton ma il modo in cui ci siamo riusciti è stato significativo: non si è trattato di un’azione fortuita, non è successo in situazione di calcio piazzato ma attraverso quella che potrebbe essere considerata come l’archetipo dell’azione offensiva dell’Arsenal, ovvero una paziente circolazione del pallone sulla trequarti e poi l’imbucata improvvisa (e coraggiosa) sull’esterno d’attacco che taglia verso il centro.
In quella giocata, finalizzata in maniera sublime da quel demone che risponde al nome di Bukayo Saka, abbiamo ritrovato l’Arsenal d’inizio stagione, il “nostro” Arsenal, quello che avevamo temporaneamente smarrito a Goodison Park e poi in casa contro il Brentford. Quello che per molti pareva essere l’inizio della fine dei nostri sogni, l’inevitabile declino che avrebbe permesso al Manchester City di agganciarci e poi staccarci irrimediabilmente nella corsa al titolo, si è rivelato essere solo un piccolo rallentamento, più che fisiologico a questo punto della stagione.
Nove gol segnati e tre subiti in altrettante partite sono sintomo di una ritrovata tranquillità, al pari di alcune delle giocate viste in ognuna delle ultime tre sfide di Premier League: penso all’intervento delicato ma impeccabile di Gabriel su Watkins a Villa Park, all’ormai celebre “ripiegamento di massa” del King Power Stadium per soffocare un timido tentativo di contropiede del Leicester City, della scivolata con colpo di tacco di Martin Ødegaard ieri sera o del passaggio di Oleksandr Zinchenko per Eddie Nketiah, il cui cross basso è stato spinto in rete da Gabriel Martinelli.
La strada è ancora lunghissima e le insidie tante ma ora abbiamo la certezza di aver ritrovato l’Arsenal capace di mettere sotto gli avversari senza concedere spazi in contropiede, di segnare e non far segnare, di controllare il pallone e il campo con fiducia, se non tracotanza. Questa squadra, e nello specifico quella vista ieri sera all’Emirates Stadium, è completamente guarita dal malessere – qualsiasi esso fosse – che l’ha colpita un mese fa e che ha portato appena un punto contro Everton, Brentford e Manchester City.
Il quattro clinico è rassicurante, dottore. Il paziente è guarito.