A Craven Cottage abbiamo giocato il miglior primo tempo della stagione.
Eppure, dopo il 2-2 di Lisbona, l’aria che tirava non era delle migliori.
Mikel Arteta ci aveva raccontato che Gabriel Jesus,Eddie Nketiah, Leandro Trossard e Kieran Tierney non sarebbero stati a disposizione; i gol concessi allo Sporting avevano fatto suonare qualche campanello d’allarme; la vittoria del Manchester City contro il Crystal Palace aveva accorciato pericolosamente la classifica e quindi eravamo tutti un po’ preoccupati all’idea di giocare a casa del Fulham, squadra molto ostica.
Noi, eravamo preoccupati. Noi. Non loro. Loro sono scesi in campo con determinazione, concentrazione, serenità e hanno semplicemente spazzato via i padroni di casa. Per quanto abbia potuto pesare l’assenza di Palhinha – e sicuramente ha pesato – il modo in cui abbiamo evaso il pressing aggressivo dei padroni di casa, spostato con brio blocchi di quattro,cinque giocatori e trovato linee di passaggio pulite ed incisive è stato semplicemente favoloso.
Non so quale fosse il significato della foto di gruppo con il famoso orologio del Clock End ma sembra che Mikel Arteta l’abbia fatto di nuovo: questa squadra si fà portratrice del messaggio del proprio manager, se ne appropria intrinsicamente e traduce il tutto sul campo, giocando un calcio a tratti irresistibile.
La qualità è così alta che è difficile scegliere “un” migliore, lo sforzo collettivo così unanime che è quasi ingiusto eleggere un migliore in campo. Gabriel e William Saliba là dietro hanno dettato legge, con o senza palla; in mezzo Thomas è stato semplicemente straordinario nel recuperare palla e spezzare le linee avversarie e più avanti Martin Ødegaard, Bukayo Saka e Gabriel Martinelli hanno fatto impazzire i propri avversari, ondata offensiva dopo ondata offensiva.
In tutto questo, tuttavia, il ruolo più importante lo ha avuto Leandro Trossard, titolare dopo aver saltato la partita infrasettimanale contro lo Sporting.
Il belga, date le assenze di Gabriel Jesus e Eddie Nketiah, avrebbe potuto avvertire il peso delle aspettative ed invece ha tenuto una masterclass sul ruolo dell’attaccante associativo: quattro key passes, due big chances create, due conclusioni a rete molto pericolose e soprattutto tre assist, in quella che è stata una prestazione totale.
Leandro Trossard ha giocato una partita sensazionale per qualità e quantità, una di quelle alle quali ci aveva abituato un certo Robin van Persie. L’ex giocatore del Brighton ha, per visione di gioco, tocco di palla, efficacia in fase di finalizzazione e intelligenza tattica, raggiunto l’élite dei falsi nueve e permesso a tutta la squadra di fare a brandelli l’organizzazione difensiva del Fulham, incapace di trovare le contromisure giuste per limitare le nostre offensive.

La prestazione di Craven Cottage ha confermato quanto questa squadra sia decisa e pronta ad inseguire “L’Imponderabile”, a prescindere dalle nostre paturnie e delle nostre preoccupazioni. Tutti, tifosi dell’Arsenal e non, aspettano l’ineluttabile crollo psicofisico di questa squadra, il momento in cui il nostro mondo imploderà e tutto finirà a catafascio.
Saranno “le cicatrici sul cuore”, come le chiamava Arsène Wenger, dei troppi traumi cui siamo stati esposti, anno dopo anno, ad averci resi così cinici e diffidenti ma è ora di cambiare atteggiamento, di farsi permeare da queste sensazioni indescrivibili e lasciarsi andare senza timori, quasi senza ritegno.
Ridurre questa stagione ad un titolo, che sia la Premier League o l’Europa League, sarebbe riduttivo ed ingiusto nei confronti del club, del manager, dello staff e dei giocatori, quindi mi sento di dare un consiglio a tutti i Gooners un po’ più giovani: godetevi questa stagione, godetevi questa squadra, perché siamo testimoni di qualcosa di straordinario – nel senso etimologico del termine.
La qualità del calcio proposto, l’unità all’interno dello spogliatoio, l’intesa con i tifosi, la promozione reale, non teorica, dei valori fondatori dell’Arsenal Football Club, il lavoro sociale del club e l’atmosfera generale che si respira intorno a questo gruppo non ha nulla di ordinario e non dev’essere ridotta ad una medaglietta. Non è giusto.
Ci sono poche cose che trovo più odiose, ciniche e patetiche del motto della Juventus, coniato da Gianpiero Boniperti, secondo il quale “vincere non è importante. È l’unica cosa che conta”, perché spoglia il calcio di emozione e poesia, due elementi fondamentali per capire l’essenza di questo sport. Ecco, pensate a queste emozioni quando la stagione sarà finita, a prescindere da come sarà finita.
Sarò il primo a rosicare se il titolo dovesse finire al Manchester City o se dovessimo vederci sfilare dalle mani l’Europa League ma, digerita la delusione, nulla potrà scolpire il senso di orgoglio che mi trasmette questa squadra, né l’ammirazione che ho nei confronti di chiunque abbia partecipato a questa incredibile stagione.
Pensate al coro per William Saliba a casa del Brentford; pensate al gol all’ultimo secondo di Reiss Nelson contro il Bournemouth; pensate ai due derby contro il Tottenham; pensate a “The Angel” cantata a squarciagola all’Emirates Stadium; pensate alla parabola di redenzione di Granit Xhaka e pensate ai momenti incredibili che ci ha fatto vivere questo manipolo di pischelli, irriverenti al punto giusto ma più che consapevoli della mole di lavoro svolto e ancora da svolgere per arrivare in cima.
Loro hanno vinto, anzi hanno stravinto.