One Arsène Wenger

Arsène Wenger entra nella Hall of Fame della Premier League.
Il manager francese è stato introdotto nella HoF assieme all’eterno rivale, Sir Alex Ferguson.

Ogni volta che si parla di Arsène Wenger, le persone che hanno guardato distrattamente all’epopea del quale è stato protagonista finiscono sempre col concludere che “non ha vinto abbastanza” oppure lo etichettano come “eterno perdente”.
Eterno perdente un par di ciufoli, se mi passate il francesismo. Arsène Wenger ha vinto tanto, tantissimo, ma soprattutto ha lasciato un’impronta indelebile sul calcio inglese – che oggi è quel che è anche e soprattutto grazie a Le Professeur come lo hanno spesso chiamato oltremanica – dapprima in maniera canzonatoria, poi seriamente.

Non sto qui a rifarvi tutta la storia dell’alsaziano sulla panchina dell’Arsenal, perché ci penseranno gli occasionali del mondo Arsenal. Vi do giusto qualche parola chiave, cosicché voi possiate andare sul vostro motore di ricerca preferito e scrivere Wenger + …
Mars. superstars. Mourinho. unbeaten. spend. Campbell. prettiest wife. hell. referee. Tottenham. comical. believe. didn’t see. Riley. Ferguson. art.
Questi sono alcuni termini che vi permetteranno di capire un po’ meglio il manager, l’uomo, il personaggio che è statop Arsène Wenger.

Avrebbe potuto vincere di più? Forse si, tuttavia giudicare Arsène Wenger solo ed esclusivamente per i trofei portati a casa sarebbe ingiusto e riduttivo. In primis, perché il manager francese ha comunque portato a casa tre Premier League, sette FA Cup e sette Community Shield nei suoi ventidue anni alla guida dei Gunners, e poi perché contano anche il quando e il come ha portato a casa suddetti trofei – ovvero il contesto, concetto che passa un po’ più di moda ogni giorno che passa.

Arsène Wenger ha vinto il suo primo campionato alla prima stagione intera da manager dell’Arsenal, diventando en passant il primo allenatore non britannico a vincere la Premier League, recuperando undici punti di distacco dal Manchester United, che fino a marzo sembrava intoccabile.
Una serie di dieci vittorie consecutive, tra le quali un tre a due ad Old Trafford, e diciotto partite senza sconfitte hanno ribaltato la situazione e al classifica, tanto da consegnarci il titolo con due giornate d’anticipo. I più distratti, guardando la classifica finale, potrebbero pensare che sia stata una lotta serrata ma la verità è che il Manchester United era a -7 fino a due turni dalla fine.

Un dominio vero e proprio, figlio di un calcio veloce e spettacolare e di alcuni giocatori tanto sottovalutati quanto sensazionali: c’era il genio assoluto Dennis Bergkamp – eletto giocatore dell’anno a fine stagione sia dai colleghi che dai giornalisti – ma trattato da reietto in Italia; c’era Marc Overmars, considerato un rottame dopo i due legamenti rotti ai tempi dell’Ajax; c’era Nicolas Anelka, il ragazzino arrivato da Parigi e bollato come ribelle indisciplinato; c’era Patrick Vieira, lo spilungone magrolino che nessuno considerava adeguato alla Premier League e c’era la miglior linea difensiva d’Inghilterra, rivitializzata dal francese.

C’è modo e modo di vincere un campionato, insomma, e Arsène Wenger, per il suo primo trofeo, ha scelto il più spettacolare di tutti. Ciliegina sulla torta, quell’Arsenal ha vinto anche la FA Cup con un netto due a zero sul Newcastle, firmato da Nicolas Anelka e Marc Overmars.

Quattro stagioni più tardi, Arsène Wenger ha ripetuto il giochino e portato a casa il suo secondo Double con l’Arsenal, con una squadra profondamente trasformata: Marc Overmars e Emmanuel Petit erano stati ceduti al Barcellona, Nigel Winterburn al West Ham e Nicolas Anelka al Real Madrid, mentre i veterani Lee Dixon, Tony Adams, David Seaman e Martin Keown iniziavano a dare segni di cedimento. Ecco allora che Le Professeur ha messo in mostra uno dei suoi più grandi talenti, ovvero la capacità di scovare ottimi giocatori non ancora arrivati sulla ribalta. Qualsiasi altro manager sarebbe andato a cercare giocatori ben diversi da Robert Pirès, Freddie Ljungberg, Laurén o Thierry Henry per ovviare alle cessioni illustri effettuate ogni estate, lui però ha saputo mantenere la rosa estremamente competitiva senza svenarsi, utilizzando le risorse a disposizione per far crescere tutto il club, non solo la prima squadra.

Ecco perché ha investito una grossa parte della somma incassata dal Real Madrid per la cessione di Nicolas Anelka in quello che oggi è il centro d’allenamento principale del club, il tanto celebrato ed invidiato London Colney, anziché spendere tutto per i nomi più caldi del mercato – che all’epoca erano Jimmy-Floyd Hasselbaink (!), Chris Sutton (!!) e Emile Heskey (!!!). Così facendo, Arsène Wenger ha dimostrato di avere una visione e un’ambizione più alte, che andavano al di là dei successi immediati. Inoltre, Arsène Wenger ha sempre avuto il coraggio ed il talento di dare fiducia ai giovani e farli crescere esponenzialmente: da Ashley Cole fino ad Aaron Ramsey, tante promesse si sono trasformate in giocatori di primissimo livello sotto la tutela del francese.

Il titolo del 2001/02 è probabilmente il mio preferito, perché vinto a casa del Manchester United nonostante qualche assenza pesante e firmato proprio da quelli che sono alcuni dei suoi “acquisti tipo” quali Kanu, Sylvain Wiltord e Freddie Ljungberg. Quella sera, il Manchester United aveva l’obbligo di vincere per restare in corsa per il titolo, mentre a noi sarebbe bastato un pareggio, eppure siamo andati a fare la partita ad Old Trafford senza Thierry Henry, abbiamo vinto la dodicesima partita di campionato consecutiva (l’ottava in trasferta) e a fine campionato abbiamo fatto registrato uno storico “zero” nella casella delle sconfitte in trasferta, cosa che non succedeva da tempo immemore. Ancora una volta non abbiamo vinto, abbiamo stravinto e abbiamo piantato la nostra bandiera – sia in maniera figurata che in maniera concreta – nel giardino dei vicini.

Il terzo titolo di campioni d’Inghilterra è il più famoso e il più celebrato, quello degli Invicibles: per restituire la magnitudine del risultato, basta pensare che fino ad oggi né il Chelsea di Abramovich, né il Liverpool di Klopp, né il Manchester City di Guardiola e degli sceicchi sono riusciti a replicare l’impresa di finire il campionato senza nemmeno una sconfitta. Dove hanno fallito i de Bruyne. Yaya Touré, Aguero, Salah, Lampard, Terry, Alisson, Drogba, Cech, Carvalho, Kompany, David Silva, van Dijk e Mané, giocatori come Kolo Touré, Jens Lehmann e Gilberto Silva hanno fatto l’impensabile, l’imponderabile. Anche in questo caso, il genio di Arsène Wenger è venuto a galla ed è stato puntualmente deriso dalla stampa inglese, che ha ridicolizzato il francese per aver osato dire che “l’Arsenal può finire una stagione senza sconfitte”: il manager aveva solo anticipato i tempi, sbagliando di una stagione, mentre gli inglesi avevano sbagliato tutto, soprattutto per l’arroganza dimostrata nei confronti di Arsène Wenger.

Inoltre, quel titolo è arrivato a White Hart Lane, casa del Tottenham, grazie ad un due a due passato alla storia per il dialogo assurdo tra Thierry Henry e Mauricio Taricco, terzino argentino degli Spurs. Quando il secondo è andato ad esultare in faccia al francese in seguito al pareggio di Robbie Keane, dal dischetto, Thierry Henry si è limitato a fargli notare che al fischio finale l’Arsenal sarebbe stato incoronato campione d’Inghilterra – commento al quale il giocatore del Tottenham ha ribattuto dicendo che almeno non avrebbero perso. Questioni di prospettive e priorità, immagino.

Tre campionati in ventidue stagioni possono sembrare pochi ma il modo in cui sono arrivati racconta tutta un’altra storia: un campionato vinto a casa del Manchester United, un campionato vinto a casa del Tottenham e da imbattuti e un campionato vinto quando sembrava perso, ai danni del Manchester United.
Già questo basterebbe per giustificare l’alone mitologico che ha sempre accompagnato Arsène Wenger, tuttavia vanno aggiunte le FA Cup, i Community Shield, il calcio più bello che la Premier League abbia mai visto, una finale di Champions League giocata con grande coraggio nonostante l’inferiorità numerica, le vittorie storiche a San Siro contro Inter e Milan e contro il Real Madrid al Bernabéu, il record d’imbattibilità più lungo nella storia del calcio inglese, il record d’imbattibilità per un portiere in Champions League, il record d’imbattibilità in trasferta già menzionato e i tanti momenti di puro, ineguagliabile orgoglio che ci ha trasmesso Arsène Wenger, baluardo del club quando era fin troppo facile darci addosso e prendersi gioco del glorioso Arsenal Football Club.

Arsène Wenger ha costruito l’Emirates Stadium, ha difeso il club davanti ad una classe arbitrale incompetente – per non dire corrotta – ha difeso l’integrità del club quando è iniziata la corsa agli investimenti folli in Premier League, ha impedito pericolose derive etiche rifiutandosi di trattare giocatori rappresentati da personaggio opachi come Jorge Mendes, Kia Joorabchian o Mino Raiola e ha sempre tenuti alti i valori storici del club, fedele al motto Victoria Concordia Crescit: a differenza di qualche illustre collega, arrogante al punto dal prendere in giro un gigante come Arsène Wenger, ha sempre protetto i propri giocatori, preso le difese della dirigenza anche quando in palese disaccordo e disinnescato qualsiasi polemica interna, fungendo da parafulmine per le critiche della stampa e le proteste dei tifosi.
Ogni volta il tempo ha finito per dargli ragione, eppure mai una volta che abbia puntato il dito dicendo “ve l’avevo detto”, con una classe ed una dignità fuori dal comune.

Con l’addio di Arsène Wenger si sono aperte le porte dell’inferno, per noi tifosi: la gestione sciagurata di Raúl Sanllehi, l’influenza virulenta di Kia Joorabchian negli affari del club, i contratti faraonici senza programmazione, il tumulto dirigenziale con le troppe nomine e relativi licenziamenti, la distruzione completa della cultura che Arsène Wenger aveva costruito negli anni. Abbiamo dovuto toccare il fondo per ripartire e lo abbiamo fatto grazie ad un uomo portato all’Arsenal proprio da Arsène Wenger e definito panic buy, a dimostrazione ancora una volta della lungimiranza della stampa inglese.
Arsène Wenger è stato unico sia per l’Arsenal che per il calcio inglese, quindi la sua nomina nella Hall of Fame è più che giustificata perché il suo tocco ha rivoluzionato tutto un Paese, calcisticamente parlando.
Attraverso il suo Arsenal, Arsène Wenger ha mostrato un calcio diverso al pubblico inglese, abitudini diverse e un modo diverso di essere professionisti ai giocatori e un modo diverso di essere allenatore alla stampa e al pubblico – tutte cose che prima di lui non esistevano.

Se negli anni la Premier League è diventata il campionato più bello del mondo è anche e soprattutto per merito di Arsène Wenger, che ha aperto la strada ad una generazione di allenatori meno orientati al kick and run tipicamente britannico e ha convinto il pubblico che il calcio può essere giocato con eleganza, tecnica e intelligenza e non solo con i calcioni e le mischie, su campi al limite della praticabilità.

One Arsène Wenger, there’s only one Arsène Wenger…

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