Una settimana. Una piccola, insignificante settimana. E invece no, nemmeno quella.
È bastato distrarsi un attimo e la stagione è andata a catafascio, più o meno.
Così, ingannato dai profumi, dai paesaggi e dai sapori della Toscana, mi sono illuso che avrei ritrovato una situazione normale, al mio ritorno. Errore! Nei giorni trascorsi tra il due a due di Anfield e quello tra l’Arsenal Women e il Wolfsburg in Champions League, è successo di tutto.
Andiamo con ordine:
domenica 16 aprile
Mentre io inizio a scoprire la val d’Elsa e i suoi dintorni, Mikel Arteta e i suoi affrontano il West Ham in trasferta. Mi concedo un’occhiata veloce a WhatsApp, dove i miei sodali si sbrodolano di elogi per i gol di Gabriel Jesus e Martin Ødegaard. Sopra di due gol dopo dieci minuti, tutto molto bello. Metto da parte il telefono, sono sereno, il più difficile sembra fatto. Quando lo riprendo, a partita ampiamente finita, vivo lo psicodramma messaggio per messaggio: il calo dei nostri, la rimonta del West Ham, il rigore sbagliato da Bukayo Saka, il risultato finale che riavvicina pericolosamente il Manchester City.
lunedì 17 aprile
Io parto per visitare San Gimignano e Volterra, paesini bellissimi se non fosse per i milioni di turisti per metro quadrato, e mentre sto camminando tra le stradine dei borghi ricevo una notifica dal profilo ufficiale dell’Arsenal Women. Il titolo è di quelli che fanno venire i brividi: Medical Update.
La stagione di Kim Little è finita, colpa di un infortunio muscolare rimediato durante i quarti di finale di Champions League contro il Bayern.
Dopo Beth Mead e Vivianne Miedema, Jonas Eidevall perde un’altra pedina fondamentale per il suo scacchiere.
martedì 18 aprile
Firenze è sempre uno spettacolo, Kim Little rinnova il contratto, esce il sole.
mercoledì 19 aprile
Alessia Russo (who else?) firma l’unico gol della partita tra Manchester United e Arsenal, al Leigh Sports Village, e mette fine ai sogni di scudetto delle nostre ragazze. Il risultato finale, tuttavia, non è la notizia peggiore della giornata: al minuto 15′ Leah Williamson compie un movimento innaturale e il ginocchio fa crac. Dalla reazione del capitano della Nazionale inglese s’intuisce subito che è una cosa seria, anzi serissima. Assieme al sogno di vincere il campionato sembra finire anche la stagione di Leah Williamson, che rischia di saltare anche il Mondiale.
giovedì 20 aprile
Prima volta a Siena e nessuna brutta notizia dal nord di Londra, la considero una vittoria.
venerdì 21 aprile
Il giorno più lungo.
Altra notifica che inizia con Medical Update e la conferma che Leah Williamson si è rotta il crociato – una tripletta che avrei evitato molto volentieri. Alla sera, senza William Saliba, l’Arsenal maschile affronta il Southampton ultimo in classifica, all’Emirates Stadium, ma non ricevo i messaggi che avrei sperato. I miei compari parlano di un erroraccio di Aaron Ramsdale, di un Arsenal irriconoscibile, del gol di Theo Walcott che ci manda sotto di due e ho l’impressione che questa vacanza sia una punizione. Riesco a vedere l’ultima mezz’ora, giusto in tempo per il tre a uno di Caleta-Car e per la rimontona finale, firmata da Martin Ødegaard e Bukayo Saka. Peccato non aver vinto, al fischio finale provo sensazioni contrastanti ma la più forte è la paura di aver concesso un vantaggio decisivo al Manchester City.
sabato 22 aprile
Si torna a casa, purtroppo. L’Arsenal Women si prepara ad affrontare il Wolfsburg senza Beth Mead, Leah Williamson, Vivianne Miedema, Kim Little e Caitlin Foord. Il morale è ai minimi.
domenica 23 aprile
Al rientro, l’incantesimo si spezza: l’Arsenal Women va sotto di due gol alla Volkswagen Arena e sembra destinato ad una cocente eliminazione in semifinale di Champions League; Rafaelle e Stina Blackstenius però guidano la riscossa e così le nostre ragazze agguantano un pareggio che sembrava irraggiungibile. Brivido finale: l’aereo dell’Arsenal Women prende fuoco in fase di decollo e la squadra viene fatta evacuare, per fortuna senza conseguenze se non il ritardo di un giorno rispetto alla tabella di marcia.
Tra una settimana ci giochiamo l’accesso alla finale, all’Emirates Stadium. Nonostante le assenze, i cerotti e i salti mortali che Jonas Eidevall dovrà fare per mandare in campo XI giocatrici più o meno integre, è bello esserci, è bello crederci. Dovrebbero essere quasi 50’000 gli spettatori presenti allo stadio ma non è escluso che si arrivi al tutto esaurito – che sarebbe già una piccola grande vittoria.
Domani, invece, Martin Ødegaard e soci giocano la partita più importante della stagione e io farò finta di non essere tremendamente preoccupato, di non avere gli incubi all’idea di affrontare Haaland, De Bruyne, Mahrez, Grealish, Gundogan e Bernardo Silva con Rob Holding al centro della difesa e zero alternative in panchina. Fingerò di non essere preoccupato dalla serie di tre pareggi consecutivi e dei sette gol incassati contro Liverpool, West Ham e Southampton, o dal fatto di aver buttato via un doppio vantaggio sia ad Anfield che a casa della squadra di Moyes.
Oggi sono come Paul Ashworth e domani sarà pure peggio, perché non si è tifosi dell’Arsenal senza una buona dose di fatalismo e io lo sono da fin troppo tempo. Da una parte c’è la razionale convinzione che il pareggio interno contro il Southampton ha de facto consegnato il titolo al Manchester City, squadra a noi superiore e ora col doppio vantaggio di poterci superare vincendo le partite da recuperare e di giocare lo scontro diretto in casa. Dall’altra, però, c’è sempre la speranza che succeda qualcosa di clamoroso, come quella notte ad Anfield del 1989, e la convinzione (speranza?) che il destino ci debba qualcosa, dopo tante sofferenze.
Una cosa è certa: mai più vacanze durante la stagione, ho imparato la lezione.