Scrivo questo pezzo ora, prima della partita, in maniera del tutto intenzionale.
Voglio tirare le somme prima che la stagione finisca e prima che impazzi il mercato.
Domani, all’Emirates Stadium, vorrei vedere tutti in piedi per questo Arsenal.
Non abbiamo vinto nulla, non abbiamo portato a casa nessun trofeo, ma abbiamo vissuto una stagione diversa da qualsiasi altra e a proprio modo memorabile.
Non so da quanti anni ognuno di voi è tifoso dell’Arsenal, per quanto mi riguarda sono ormai quasi trent’anni.
Ho vissuto stagioni memorabili, una addirittura irripetibile, ma anche tanta mediocrità; ho vissuto Highbury e l’Emirates Stadium; ho vissuto l’amore incondizionato ma anche l’astio e l’indifferenza.
Quando Mikel Arteta ha accettato di sedersi sulla panchina dell’Arsenal, il club era in uno stato pietoso: proprietà distante, dirigenza incompetente o opportunista, giocatori smarriti o indifferenti e i tifosi frustrati, stanchi, amareggiati.
La fine dell’era Wenger, protrattasi troppo a lungo, aveva creato una divisione quasi insanabile tra diverse fazioni di tifosi e la rinascita promessa da Gazidis, con Unai Emery al timone e il triumvirato Sanllehí-Mislintat-Venkatesham in plancia di comando, stava mostrando tutte le proprie crepe.
Ottenere risultati, in certe condizioni, sarebbe stato proibitivo per chiunque e a maggior ragione per un allenatore esordiente come Mikel Arteta, che infatti è sembrato vicino all’esonero a più riprese e non ha mai pienamente convinto la tifoseria. La FA Cup e il Community Shield sono stati momenti belli, promettenti, però i risultati in campionato erano troppo deludenti per essere saldamente al fianco dello spagnolo.
Se riportiamo la mente a quei momenti, a quei due anni scarsi tra la FA Cup contro il Chelsea e il quarto posto sfumato dopo le due trasferte contro Tottenham e Newcastle, è difficile credere all’armonia totale tra club, staff, giocatori e tifosi.
È difficile pensare all’Emirates Stadium pieno, alla nascita dell’Ahsburton Army, che ha contribuito in maniera decisiva a dare un’anima e una voce all’Emirates Stadium, all’atmosfera che circonda la squadra, in casa e in trasferta, alla comunione d’intenti che si percepisce intorno al club.
È difficile pensare che la squadra sia passata da due ottavi posti alla Champions sfiorata e poi ad una clamorosa lotta per il titolo contro l’inarrivabile Manchester City, che abbia svliuppato un gioco spettacolare e moderno, e che abbia messo sotto i riflettori alcuni tra i giovani più interessanti dell’intero panorama inglese.
È difficile credere di essere passati dalle primedonne Özil, Lacazette e Aubameyang a giovani affamati come Saka, Martinelli e Ødegaard.
È difficile credere a quel che stiamo vivendo, eppure è la realtà.
Anche se credete che questa squadra abbia buttato via un campionato che poteva e doveva vincere, non perdete di vista quello che è stato il percorso che ci ha portati fino a qui. Non dimenticate com’era essere tifosi dell’Arsenal qualche anno fa: dopo Baku, dopo le batoste prese da Liverpool, City e Chelsea, dopo il caos dirigenziale che ha visto Gazidis, Mislintat e Sanllehí fare le valigie, dopo la partita interna contro il Crystal Palace persa per 3-2, dopo la querelle legata a Mesut Özil, dopo le sanzioni disciplinari nei confronti del capitano Aubameyang, dopo l’adesione alla European Super League.
Pensate a com’è essere tifosi dell’Arsenal oggi: pensate a come Edu ha rimesso in piedi la parte gestionale, a come Per Mertesacker ha ridato linfa vitale al settore giovanile, a come Mikel Arteta ha dato un’identità di gioco chiara alla squadra, a come lo spogliatoio ha ritrovato armonia e disciplina, alla rinascita di Granit Xhaka, all’esplosione di Gabriel Martinelli, alla consacrazione di Bukayo Saka, all’eleganza di Martin Ødegaard, alla ruvidità esaltante di Ben White e Gabriel, all’ascesa di William Saliba – e così via.
Sono sempre stato fiero di essere un tifoso dell’Arsenal ma ammetto di essere un po’ più fiero, di questi tempi, e non è una questione di classifica e risultati, è una questione di orgoglio e senso di appartenenza. Questo gruppo, e ci metto ovviamente anche lo staff, ci ha dimostrato di avere un qualcosa di speciale ed è fondamentale goderselo ed approfittarne, finché dura.
La prossima stagione potrebbe essere tutta un’altra storia – anzi SARÀ tutta un’altra storia – e noi tifosi spesso siamo colpevoli di perdita di memoria a breve termine. Vorrei che l’Arsenal fosse sempre la reazione dell’Emirates Stadium all’autogol di William Saliba contro il Leicester – perché quello è l’episodio che meglio di qualsiasi altro racchiude tutto ciò che ha reso speciale questa stagione.
Questo Arsenal è già tutta un’altra storia e a me va bene così.